Esprimendosi su temi settoriali come la buona informazione giornalistica, di cui abbiamo scritto nelle rubriche precedenti, il rischio dietro l’angolo è di pontificare non tanto sul nulla, quanto a nessuno. Belle parole che in potenza potrebbero cambiare l’indirizzo informativo di intere realtà e che poi nel concreto cadono come semente sull’asfalto.

La questione è che ogni tanto conviene mettersi nei panni del lettore, focalizzare il suo linguaggio e rivolgersi direttamente a lui anche con una domanda: “In che cosa una buona comunicazione ti tocca di più?” Risposta immediata: “In tutto”.

Ma poi nel concreto non sempre la realtà è così “tranchant”. Come può cambiare la giornata un servizio comunicativo per quanto impeccabile?

Di tutti gli articoli che quotidianamente leggo, al massimo un paio mi rimangono impressi, mentre gli altri defluiscono nello scarico del sovraccarico informativo, e quindi nel dimenticatoio. Ho sentito lamentarsi chi scrive su un giornale per il fatto che, sosteneva il mio interlocutore, nessuno si ricorda quello che legge: lui ci mette tutto se stesso nello scrivere e poi niente, tutto scivola via.

Dire che tutto scivola via è bugia imperdonabile. Qualcosa ci rimane: succede quando il pezzo scritto riesce ad aggrapparsi a me (o io a lui?). Lo fa se si relaziona con la mia storia, con quanto sto vivendo, i miei interessi personali o le mie paure. Occorre un gancio, insomma.

Spiega Brajnovic, giornalista ed accademico naturalizzato spagnolo, che “la causa efficiente dell’informazione è la comprensione del messaggio foriero di notizie da parte dei destinatari. Finché questi non arrivano a comprendere le verità contenute negli articoli, ad integrarle con la rispettiva cosmo-visione e con il proprio agire libero non si potrà parlare di informazione giornalistica”. Dunque, prendere ed assimilare. Quante volte è stata vera informazione? E quante volte, da lettore, è stato lasciato spazio a che l’informazione incrociasse davvero la propria storia quotidiana?