E’ stata pubblicata oggi, 26 settembre, la Lettera pastorale del Vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, licenziata il precedente 14 settembre, per l’anno 2024 – 2025.

Il documento

che si può leggere integralmente cliccando qui

è stato oggetto di una prima, attenta lettura (ma è bene che ciascuno di noi faccia altrettanto, dedicando ad esso una non superficiale riflessione) da parte della Prof. Elisabetta Acide che, qui di seguito, ne rende una ampia presentazione per i nostri Lettori.

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(elisabetta acide) – Le tre lettere che l’Apostolo Paolo invia (anche se molti esegeti e studiosi ritengono ormai che la paternità di queste epistole sia da attribuirsi a suoi collaboratori), due a Timoteo e una a Tito, divenuti pastori (Vescovi), si chiamano “lettere pastorali” perché dirette a singoli responsabili di comunità e fanno emergere il “bisogno” di organizzazione e guida delle comunità ecclesiali.

Questi scritti testimoniano il “legame” tra l’Autore e le comunità.

Mi piace molto questa “logica” in cui il “pastore” incoraggia e guida a “interpretare” la fede cristiana nelle situazioni “quotidiane” alla luce della Parola dell’unico Pastore: Cristo.

Allo stesso modo, anche noi, ogni anno, attendiamo le parole del pastore della nostra Diocesi eporediese, ci “disponiamo” ad una lettura, perché, lo sappiamo, il Vescovo ha “parole belle e buone” per il suo “gregge”, e, soprattutto sa fornire, in costante ascolto della Parola, riflessioni, spunti e “suggestioni” che sapranno “entrare” nel cuore delle comunità.

Anche per il nuovo “anno pastorale” ci giungono le parole di Mons. Edoardo A.Cerrato.

Siamo sicuri, Mons Edoardo, ha “pensato” a ciascuna comunità, a ogni persona, a “ogni incontro” avvenuto nel corso dell’anno e degli anni, che ha fatto nascere in lui riflessioni e discernimento per le parole a tutti coloro che a lui sono affidati.

Lo possiamo immaginare, seduto alla scrivania a comporre a rileggere, modificare, riprendere a scrivere, scegliere con cura le parole… perché le parole sono come quei “semi” gettati dal seminatore sui terreni: abbondanti, piccoli ma “vivi”, sono parole piene di speranze, di idee, di vita, di coraggio, di passato, di presente, di futuro.

Il “contenuto” della lettera pastorale per questo anno, resa pubblica oggi, 26 settembre 2024, ha l’ “anelito” della speranza.

Il punto di partenza è il documento del Santo Padre Papa Francesco, Bolla di indizione dell’anno giubilare ormai alle porte (il 2025 a conclusione del “percorso sinodale della Chiesa”, ma non per questo “chiusura”, ma “tappa” del cammino di speranza a cui la Chiesa tutta è chiamata per vocazione).

Monsignor Edoardo, nel riprendere il “filo conduttore” della trama “tessuta” dal santo Padre e dalla Chiesa, sottolinea le parole della lettera ai Romani: “Spes non confundit”  (Rm 5,5) (riferimento Spes non confundit 1).

Speranza e delusione: “La speranza non delude”.

Cristo non delude, la Speranza non abbandona, ma guida, sorregge, conforta e non viene meno.

La speranza, “non confonde”, meglio “non ci fa vergognare”, perché sorretta dall’Amore di Dio, sovrabbondante, elargito, ricevuto, sparso… la speranza è resa forte da quell’amore di Dio “nei nostri cuori” per mezzo dello Spirito Santo.

Meglio, il “coraggio della speranza” (cor habeo), il “coraggio che invita ad agire con il cuore”, che “viene dal cuore”, che fa affrontare tutto con la certezza che, nonostante le difficoltà, le incertezze, i “tempi difficili”, quella “Speranza” non finisce, non confonde, non delude… perché è “Gesù Cristo (la) nostra speranza (1 Tm1,1).

E mons. Edoardo, come un pastore “buono e premuroso”, ci aiuta ad “entrare” in questa “logica della speranza”; lo fa con due particolari citazioni bibliche (e, da donna, apprezzo davvero che le “protagoniste” di queste “suggestioni pastorali” siano proprio due donne).

La vita della Chiesa deve essere “vivificata” dalla speranza, quella che ha animato le due donne bibliche, l’una in casa, a Sarepta, in piena carestia, con generosità “preparerà” il pasto, non l’ultimo, ma quello che, per Grazia di Dio, porterà la salvezza.

Non in termini di quantità, ma di “qualità”.

L’altra, al tempio, con quelle due monetine che fanno un soldo, ha dimostrato che il “dono” è quello di un “amore senza calcoli”, ma di generosa offerta.

Non in termini di “tanto”, ma di “tutto”.

Tutto, non abbastanza.

Le donne dei racconti biblici citati, “non si tirano indietro”, non abbandonano, non rinunciano; credo che il nostro Pastore voglia proprio aiutarci a riflettere su questi aspetti: non possono essere le “difficoltà contingenti” della Chiesa, del tempo, delle parrocchie, della secolarizzazione imperante a farci “rinunciatari”, ad “abbandonare il campo”… ma ci offre la  riflessione della “speranza” che viene dalla fede, dalla fiducia, dal coraggio.

Mons. Edoardo ci invita a “seguire” le tracce delle “donne bibliche”, non ci offre “soluzioni pre-confezionate”, ma ci dona la speranza nella creatività della Chiesa, ci invita ad “affidarci” per le nostre comunità, alla nostra “ultima farina”, ai nostri “oli”, alle nostre “monete”.

La grandezza e bellezza della fede devono nutrire la nostra Speranza, devono far “germogliare” nelle comunità i semi, gli “ultimi”, i “piccoli”, i “rimasti”… perché diventino “tutto”.

Monsignor Cerrato, nell’analizzare la Grazia che viene dall’anno giubilare, non manca di richiamarci al “ritorno delle radici del credere”.

Grazie Monsignor Edoardo, ne abbiamo bisogno!

Tanto preoccupati di “organizzare eventi”, “attività”, “produrre innovazioni”, “aggiornare i metodi pastorali” “inseguire il mondo”… “facciamo”, “programmiamo”, “rincorriamo” e magari, talvolta, rischiamo di dimenticarci di “vivere da discepoli del Signore”.

Il richiamo all’ “apertura” e non all’ “adattamento” mi piace particolarmente.

Ho apprezzato la citazione del cardinale De Kesel (che ho già avuto modo di analizzare e sulla quale avevo condotto alcune riflessioni).

“La Chiesa dovrà essere più confessionale: testimoniare il Vangelo nel modo più autentico possibile attraverso le parole le azioni” (citazione indicata nella lettera pastorale)

La Chiesa deve dare testimonianza.

I cristiani devono dare testimonianza.

Noi dobbiamo dare testimonianza.

Questo ci chiede il nostro Pastore della Chiesa eporediese: essere cristiani testimoni di speranza.

Cristiani che sanno “dare ragione” della Speranza.

Cristiani che “non sono confusi”, ma che con coraggio sanno “trovare strade” nuove per l’annuncio eterno: Cristo è la nostra speranza.

E la nostra speranza non delude.

L’esortazione finale del “guardare a Maria madre della speranza” allora, deve “risvegliare” i nostri passi, i nostri “sguardi”, per farci diventare “chiesa che guarda e cammina”, chiesa che “sa guardare” con occhi nuovi l’esistenza stessa, l’essenza di dirci cristiani.

La Speranza, non dimentichiamo, è una virtù, una virtù che si accompagna alla pazienza, alla fede, alla carità, all’umiltà, alla capacità di saper attendere, senza timore ma nella certezza,

Non “anche la Speme, ultima dea, fugge i sepolcri” (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri), ma la Speranza cristiana ha “vinto il sepolcro”.

Nella parte conclusiva il Vescovo traccia alcune linee di intervento già programmate, che forniscono i passi di un cammino che ci aiuteranno a percorrere come Diocesi, in unità di intenti, un “sentiero di speranza”.

Mi è cara la descrizione  di Vescovo che compare nel Direttorio per il Ministero pastorale dei Vescovi: “Successori degli Apostoli (“Apostolorum Successores”) per istituzione divina, i Vescovi, mediante lo Spirito Santo che è loro conferito nella consacrazione episcopale, sono costituiti Pastori della Chiesa, col compito di insegnare, santificare e guidare, in comunione gerarchica col Successore di Pietro e con gli altri membri del Collegio episcopale” (Congregazione per i Vescovi, il 22 febbraio 2004, festa della Cattedra di S. Pietro) che fa eco alla  Costituzione Dogmatica Lumen Gentium :

I Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali Pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo” (Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, 20; Catechismo della Chiesa Cattolica, 860-862).

Il Vescovo, Pastore della Chiesa che traccia le linee nella sua organicità, “responsabile” della pastorale e della cura, istruisce, esorta, aiuta.

Come un “Pastore” ma ancora di più, come “padre”.

A lui è chiesta “competenza pastorale e tecnica”, a noi è chiesta “capacità di ascolto”, lui “guida e coordina” nella missione specifica della Chiesa: portare a tutti gli uomini la Verità e la Grazia di Cristo, noi siamo chiamati a cooperare, collaborare, accrescere la nostra fede,

Il Vescovo è chiamato a “camminare” con il suo popolo, noi siamo chiamati a “camminare con lui”, guida verso di Lui e con Lui.

Allora proviamo a fare “discernimento” delle parole del nostro Vescovo Edoardo, a rendere vive le sue sollecitudini nelle comunità parrocchiali, pastorali, negli ambienti diocesani.

Il suo particolare invito ci deve sollecitare nella sua chiarezza ed immediatezza, a esercitare tutti, secondo i personali carismi e ministeri, il nostro compito di battezzati “abitati dallo Spirito di Dio” per cooperare in questo particolare anno di grazia, sotto la protezione di Maria, perché il nostro cammino abbia in Dio il suo inizio ed il suo termine.

Mi permetto allora di fare una “variazione”: la speranza non “annebbia” (e noi della bassa padana sappiamo che cosa diciamo quando la nebbia con la sua bruma copre tutto).

L’ Eucaristia sarà allora, la “luce” per “illuminare” e provare a “diradare” quella nebbia che talvolta ancora “avvolge” la nostra vita cristiana.

Eucaristia come Dono, come Sacramento, come “pane di speranza” per il mondo e per ogni persona.

Benedetto XVI l’aveva descritta come “una virtù performativa, capace cioè di “produrre fatti e cambiare la vita” (Spe Salvi).

“Nutriamoci” di Cristo per essere “testimoni di Speranza”; rinnoviamo il nostro impegno ad essere “diradatori” delle nebbie delle paure, delle incertezze, degli opportunismi, per essere “persone” che portano la Speranza di Cristo, l’incontro “trasformante” per ogni uomo.

Non fermiamoci a “guardare” da lontano quella Croce, non limitiamoci a “stare a guardare” da sotto a quella Croce, diventiamo “consumatori” di quel Mistero che, consumato, assimilato, “dimorerà” in noi, e noi abiteremo in Lui, e saremo allora, evangelizzatori e disseminatori di Speranza.