La Lega nel destra-centro (così come il M5S nel sinistra-centro) si muove in assoluta autonomia, differenziandosi su molti temi strategici e accentuando la propria linea sovranista. La conferma è giunta dal raduno annuale di Pontida, con molti segnali: i giovani del “Carroccio” sono sfilati contro il vice-premier forzista Tajani, definito “scafista” per le sue aperture sullo jus scholae; sul palco hanno dominato il premier ungherese Orban e il generale Vannacci, entrambi intransigenti contro gli immigrati, durissimi con Bruxelles, schierati con Putin nel conflitto russo-ucraino; il generale è anche sostenitore dell’alleanza con i filo-nazisti tedeschi dell’ AfD. Una sterzata sull’estrema destra benedetta da Salvini, seppur egli si sia – formalmente – scusato con Tajani per gli insulti rivoltigli dai suoi. A riguardo, il leader forzista ha chiesto l’intervento della Meloni, sottolineando anche i problemi con Ursula von der Leyen, che ha appena nominato nel suo esecutivo il ministro Fitto.
Per parte sua, la premier ha invitato alla prudenza perché teme la rottura con Salvini, famoso per aver già favorito nel recente passato la caduta del primo Governo Conte e dell’Esecutivo Draghi (con Berlusconi e lo stesso Conte). Ma le divisioni restano e logorano l’azione del Governo, in Italia e all’estero. Paradossale la preparazione della finanziaria 2025, con il ministro Giorgetti sotto il tiro continuo di “fuoco amico”: la Lega chiede di tassare le banche, mentre Forza Italia si oppone; idem sulla revisione della legge pensionistica Fornero e sulla riforma della Rai. Ma il Tesoro deve reperire una decina di miliardi per ridurre il cuneo fiscale, finanziare il fondo per la famiglia, alleggerire le tasse per i redditi bassi, assumere nuovi sanitari… Si è parlato di un ulteriore ritocco delle accise, manovra sempre contestata dalla Meloni quando era all’opposizione.
In realtà le promesse elettorali possono far vincere nelle urne, ma al Governo si scontrano con il dovere dell’Italia di rispettare le direttive dell’Unione europea e di mantenere la fiducia degli investitori esteri che contribuiscono a reggere il nostro gravoso deficit pubblico, il secondo – dopo la Grecia – tra i 27 Paesi UE.
Sul fronte dell’opposizione la novità più rilevante viene dalla carta stampata con il cambio di direzione a “la Repubblica”, lo storico quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: lascia Maurizio Molinari, sostenitore della linea radicale di Elly Schlein, gli succede il direttore del Tg3 Mario Orfeo, già direttore generale Rai con il Pd di Renzi e Gentiloni, espressione di una linea riformista, con un confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione.
Per la verità in Parlamento è andata in scena una diversa raffigurazione della politica sulla nomina di un giudice della Corte Costituzionale: il Governo ha tentato un blitz con un suo candidato, ma l’esito è stato negativo per l’Aventino delle opposizioni. La Consulta ha dinnanzi a sé pronunciamenti importanti, in primis i referendum sull’autonomia regionale e sulla cittadinanza. È auspicabile una scelta bi-partisan, per il rispetto del ruolo delle istituzioni democratiche.
Nel centro-sinistra, infine, continua lo scontro Conte-Renzi sul cosiddetto “campo largo”: a Genova la crisi politica sta indebolendo la candidatura a Governatore dell’ex ministro Orlando, nonostante lo scandalo giudiziario che ha travolto la giunta di centro-destra guidata dal presidente Toti; a Bologna i Pentastellati rifiutano la presenza di “Italia Viva”, ma i renziani non accettano l’assenza del simbolo.
I due leader Schlein e Conte non si parlano e tutto è rimesso alle realtà regionali. Non è un bello spettacolo: secondo molti media la vera divergenza Pd-M5S deriverebbe dalla contestuale candidatura dei due segretari a Palazzo Chigi. Ma le politiche sono previste nel 2027! Sarebbe opportuno, nell’interesse del Paese, dedicarsi alle questioni programmatiche. Ne segnaliamo due: la drammatica crisi dell’industria dell’auto, con migliaia e migliaia di posti di lavoro in pericolo; la questione etica: il centro-sinistra, pluralista, può appiattirsi sulle posizioni anni settanta del radicale Pannella, cancellando la sua storia, da Moro a Berlinguer?