IVREA – Nel mese di luglio aveva fatto visita ad Ivrea Dom Moacir Silva Arantes, vescovo di Barreiras (nello stato brasiliano di Bahia), per un breve ma intenso soggiorno di cui avevamo dato ampio conto su questo giornale. In risposta a questa visita don Josè Bergesio, don Gianni Giachino e la signora Eliene Silva sono partiti il 21 agosto e fino al 4 settembre per una visita lampo in quella diocesi brasiliana, con la quale avevano già collaborato ai tempi del vescovo Dom Ricardo Weberbergher.
A pochi giorni dalla fine del mese di ottobre, dedicato alle missioni, proponiamo questa testimonianza a firma proprio di don Josè. (c.m.d.)

Accolti e accompagnati dal diacono Danilo Grindatto, che da decenni si trova in missione sul posto, abbiamo percorso tutte le località della diocesi di Barreira con l’intenzione di vedere la situazione attuale di quelle terre dove avevamo lavorato come missionari per lunghi anni, sostenere chi è ancora sul posto, analizzare da vicino eventuali necessità e non per ultimo, almeno per me, scaricare un consistente fardello di nostalgie.

Siamo stati sorpresi dall’accoglienza entusiasta, dal momento che le chiese di quelle comunità, pur letteralmente raddoppiate in dimensione rispetto ai miei tempi, faticavano a contenere la gente ad ogni celebrazione.

Quale il motivo di tanto affetto dopo ormai una trentina d’anni che ero partito? Perfino una trentina di persone della città di Barra, da dove avevo mosso i primi passi ben 45 anni fa e che non abbiamo visitato per mancanza di tempo, sono venuti all’incontro a Salvador de bahia, a 800 chilometri di distanza!

Penso che sia un segno dell’apprezzamento del nostro lavoro in mezzo a loro. Dico “nostro” perché dopo di me tanti altri missionari, preti e laici, hanno continuato ad innaffiare su quanto era stato seminato. E certamente in quella occasione io li rappresentavo un po’ tutti; di fatto tutti i missionari sono stati ricordati con affetto.

La mia attenzione si è concentrata ovviamente su ciò che era cambiato dopo tanti anni. Molte cose sono cresciute: laddove avevo operato da solo per vari anni, ora ci sono ben quattro parrocchie con altrettanti parroci locali. Le chiese, tutte ampiamente ingrandite, ci dicono come siano aumentati anche i fedeli che ho visto collaborare attivamente. “Ahimè!”, mi veniva da esclamare, pensando alle nostre chiese semi vuote e spesso senza entusiasmo.

Quanto avremmo da imparare da queste nuove Chiese! Perché loro sì e noi no? Forse una spiegazione si trova in quella frase di Gesù: “Sono venuto per annunziare la buona novella ai poveri”.
Forse la ricchezza e il benessere fanno crescere nel sentimento di autosufficienza sicché non sentiamo più il bisogno di Dio?

Questa situazione mi porta a pensare che le missioni dovrebbero incominciare ad invertire la rotta: da loro a noi. Il vescovo di Barreiras ha espresso un’opinione favorevole all’idea, ovviamente con una buona pianificazione. Da queste comunità lontane, le nostre chiese potrebbero già imparare tante cose: ad esempio l’apertura ai laici ben formati. Là ogni villaggio ha un “dirigente” laico che coordina tutte le attività religiose e sociali della chiesa locale, tra cui il culto domenicale.

Anche dal punto di vista economico c’è stato un sensibile progresso: tanti fedeli si trovano nella condizione di poter pagare un “dizimo”, che aiuta in misura rilevante la vita della chiesa che così riduce notevolmente la dipendenza dall’estero.

È evidente comunque che esistono ancora realtà in cui il nostro aiuto è importante, come nella tribù indigena Kiriri alla quale abbiamo promesso il sostegno nella costruzione di una casa dell’artigianato dove possano lavorare l’argilla (attività che rappresenta la loro principale fonte di reddito) e custodirne i prodotti fino alla loro vendita nei mercati delle grandi città.
Il Centro missionario diocesano è a disposizione per chiunque volesse dare una mano a riguardo. Grazie.
don josè bergesio