Il quotidiano la Repubblica ha ricordato con un titolo intrigante l’anniversario della morte della poetessa Alda Merini, che si spense il 1° novembre 2009, festa di Ognissanti. L’articolo della Santarelli aggiunge la Merini alla lista di poeti e scrittori che dopo la morte diventano “santi”: non tanto per le virtù eroiche in vita come per i beati della chiesa, o per il successo, ma perché continuano a suscitare la “devozione” di tante persone che, nelle loro poesie e romanzi, si sentono espresse e comprese nel profondo.
“Un giorno un medico comparve nella nostra sala. Era ben vestito, aveva modi educati, e mi guardò a lungo. Era anche un bell’uomo. Mi domandò chi fossi….”. Lo psichiatra Enzo Gabrici capì che Alda doveva vivere fuori dal manicomio, dove per quasi 10 anni era stata internata. Riaccese la passione per lo scrivere che esprimeva il cuore infuocato della sua paziente. “Era l’unica fonte di vita a cui potevo aggrapparmi per non morire”.
Gabrici le regalò la sua prima macchina da scrivere, che spesso appare sullo sfondo nelle foto dove la poetessa – con uno sguardo misterioso, che, mentre ti fissa, guarda lontano – non manca mai di apparire con una sigaretta fumata a metà, con tanta cenere ancora da posare. Nella sua bara furono posti una rosa, un pacchetto di sigarette, pochi euro per Caronte affinché la traghettasse sull’altra sponda e una foto del marito Ettore.
Nel sito ufficiale della poetessa, le quattro figlie – Emanuela, Flavia, Barbara e Simona – raccontano la sua storia: non quella della poetessa, ma della madre, che, a causa della malattia, fu da loro staccata. “La maternità è una sofferenza, una gioia molto sofferta. Da un amante ci si può staccare, ma da un figlio non riesci”.
Nel suo capolavoro “La terra santa”, la raccolta di 40 poesie che rappresentano principalmente il manicomio, la poetessa rilegge la sua drammatica vita alla luce del libro biblico dell’Esodo. La sua vita si svolse in un inferno, abitato, però, da Qualcuno che inferno non è. La presenza del Divino rese sacro anche il suo inferno, terra dell’esodo personale.
“Ma un giorno da dentro l’avello / anch’io mi sono ridestata / e anch’io come Gesù / ho avuto la mia resurrezione, / ma non sono salita nei cieli / sono discesa all’inferno / da dove riguardo stupita / le mura di Gerico antica”