Primo, tra gli uomini insigni che hanno dato alla sua città di origine la fama di “Atene del Canavese”, è senza discussione Carlo Botta, il figlio più glorioso di San Giorgio. Un intellettuale con convinte motivazioni illuministiche, radicate peraltro nella grande eredità della tradizione classica (il suo modello di stile restò lo storico latino Tacito), e messe in opera nella sua concezione della Storia, a cui attribuì ideali etici, sull’onda – in un primo tempo condivisa – dei successi napoleonici contro il “vecchio regime” dei Savoia. Colui che si sentirà il continuatore della Storia d’Italia del Guicciardini, ma che dedicherà la sua opera più moderna alla rivoluzione americana, era nato il 6 novembre del 1766 a San Giorgio, dove compì i primi studi.
Tra i suoi maestri, il più influente era stato Carlo Tenivelli, che finì in prigione come sovversivo, condannato a morte e fucilato sulla piazza di Moncalieri nell’agosto del 1797. Dopo la laurea in medicina all’università di Torino, anche il ventenne Carlo Botta si sentirà impegnato in una battaglia politica che lo portò a scontrarsi con lo status quo di un Piemonte politicamente arretrato, per cui si troverà anche lui a scontare per diversi mesi nelle patrie prigioni le sue idee di “cospiratore”. Ma fu anche grazie a queste prime esperienze politiche che il giovane intellettuale si troverà in linea con gli sviluppi “progressisti” della storia europea, tra Sette e Ottocento. Uscito dal carcere, Botta ripara in Francia e si arruola come medico chirurgo al seguito dell’esercito napoleonico.
Dopo l’abdicazione di Carlo Emanuele IV, può tornare a Torino, dove viene nominato membro della Commissione esecutiva del governo francese, per cui avrà un ruolo importante tra i sei componenti del Consiglio d’amministrazione presieduto dal generale Jourdan. E sarà in forza di questo incarico politico che Carlo Botta si farà promotore di una iniziativa destinata a lasciare il segno nel futuro del sistema educativo del Piemonte: la richiesta ufficiale per la fondazione di una Scuola di Musica, che diventerà poi di fatto il Conser-vatorio di Torino. L’idea nasceva dalla sua naturale disposizione per la “settima arte” che, come scrisse nella sua relazione, “in ogni tempo fece il diletto delle anime oneste e sensibili; un’arte che lusinga i nostri cuori perché esprime le nostre passioni; un’arte nata in Grecia e perfezionata in Italia”.
Come ricorda anche il Bertolotti nelle sue Passeggiate nel Canavese, il giovane Botta “amava assai la musica e suonava con maestria il flauto”, e per questa sua particolare passione artistica era arrivato anche a scrivere, dopo il conseguimento della laurea, un saggio in latino (“Dell’efficacia della musica nella cura di alcune malattie”), che lo portò a far parte del Collegio di Medicina della Regia Università di Torino. “Rivoluzionario” sul fronte politico, ma più “conservatore” in fatto di gusti musicali (i “suoi” amori più esclusivi restarono sempre i grandi operisti italiani, in primis Cimarosa e Paisiello, mentre non vengono citati Mozart e Beethoven). In una lettera del giugno 1836, diretta al cavaliere G. Washington Greene, console generale degli Stati Uniti d’America a Roma, Botta chiama Paisiello “l’anima più musicale che mai si sia spiccata dal grembo di Dio per venire in questo mondo”.
E soggiunge: “Voglio che al mio punto di morte si recitino i versi del pastor Aristaeus di Virgilio, e mi si suonino alcuni pezzi della ‘Nina, la Pazza per amore’ di Paisiello: saranno gli uni e gli altri per me anticorrieri delle melodie celesti. Chi non m’intende non è degno di esser uomo, non che Italiano.” Nel suo “Ritratto di Carlo Botta”, Giovanni Getto ha ricordato gli importanti riconoscimenti da lui ottenuti in vita, dalla francese Legion d’onore, al premio dell’Accademia della Crusca, vinto in gara con il Leopardi delle Operette morali, all’elogio sincero di un Alessandro Manzoni. Vissuto a cavallo di una fase storica che si lasciava alle spalle l’ancien régime, il Botta, anche per la sua convinta simpatia verso la Francia rivoluzionaria, si colloca nella schiera più combattiva dei precursori del nostro Risorgimento.
A questo proposito, non andrebbe trascurata l’ipotesi che proprio i suoi rapporti più stretti e la reciproca stima con il “riformatore” Carlo Alberto (che gli conferì la prima croce di Cavaliere dell’Ordine Civile di Savoia con l’annessa pensione di mille lire annue) abbiano suggerito al sovrano piemontese gli aspetti più “liberali” del suo “Statuto”, che sarà di fatto anche la prima “Costitu-zione” dell’Italia. Per un naturale omaggio ai meriti della personalità “umanistica” di Carlo Botta, la sua casa natale è oggi sede di un importante Museo, mentre la Scuola Media e la Filarmonica di San Giorgio sono intitolate al loro più illustre concittadino; ma senza dimenticare che anche il più antico Liceo di Ivrea resta oggi il “Carlo Botta”. Ed è bello sapere che i resti mortali del “nostro” storico siano stati infine trasferiti dalla Francia – dove era morto il 10 agosto 1837 – nella Basilica fiorentina di Santa Croce, dove riposano insieme a quelli di altri grandi (Foscolo, Michelangelo, Galileo, Alfieri, Rossini …) che hanno incarnato al meglio, nelle arti e nella scienza, lo spirito dell’Italia.
La più ampia e approfondita ricognizione sulla personalità e sull’opera di Carlo Botta è quella presentata nel volume miscellaneo Il giacobino pentito (Laterza, 2010), a cura di Luciano Canfora e Ugo Cardinale, con interessanti scritti di Gian Franco Gianotti, Ilenya Goss, Roberto Pellerey, Michele Curnis, Daniele Fiorentino, Dora Marucco e Anna Maria Rao. Con “Un giacobino oltreoceano” (testo di Fabrizio Dassano e musiche del Maestro G. Borio) si è festeggiata qualche anno fa, nel teatro Giacosa, anche la nuova edizione dell’opera di Carlo Botta sulla Rivoluzione Americana. E resta sempre di piacevole lettura il bel libro collettaneo, voluto dal Preside Ugo Cardinale, Anche noi andavamo al Botta. Il Liceo Classico di Ivrea dall’ancien régime alla sperimentazione (Priuli & Verlucca, 1990). p.p.