Ho trovato una vecchia Bibbia, illustrata con miniature, in una traduzione datata 1963: non ufficiale, ma fedelissima alla Nova Vulgata. Tra le pagine spuntano parole arcaiche come “imperocché” e “ciascheduno”, che mia nonna usa ancora, ma che per i miei coetanei sono una scoperta totale.
E mi sono chiesto: come mai certi termini scompaiono e altri no? Perché oggi i giovani sembrano preferire un linguaggio fatto di termini esterofili e frasi quasi aggressive? È un linguaggio che a molti “boomer” – come diremmo “noi”, in un noi da cui mi sono sempre autoescluso – risulta incomprensibile, come se fosse un club elitario. C’è una sorta di piacere nel creare parole che solo pochi capiscono, scartando chi non è al passo.
Certo, il linguaggio è in continua evoluzione e pure quello tecnico è sempre esistito. Le studentesse di infermieristica quando parlano tra di loro usano termini che per me sono incomprensibili. Lo stesso faccio io con i miei compagni dei miei stessi studi. Ma lì, le parole servono a trasmettere concetti precisi. Il linguaggio giovanile, invece, sembra nato per dividere, creando una lobby che distingue chi “sa” da chi non capisce.
Questo modo di parlare non è solo esterofilo; è volutamente volgare e criptico. Ormai l’italiano quotidiano è contaminato dall’inglese, ma non basta: spesso si usano parole taglienti, quasi come armi. Un manifesto quindi, un simbolo per chi appartiene al gruppo, dove chi non segue è fuori.
Ogni generazione ha avuto il suo gergo, ma oggi sembra tutto portato all’estremo, con un linguaggio che diventa barriera per chi non ne coglie i riferimenti. Parole come “cringe,” “flexare,” e “ghostato” creano un gruppo ristretto di chi capisce al volo. Ridicole per gli adulti, certo, ma è proprio quello il punto: non farsi capire da chi “non è dei nostri.”
È il linguaggio della velocità, dell’immediatezza, nato per avere sempre la risposta pronta. E tante volte la risposta è sempre la stessa, quasi un riflesso automatico. Le sfaccettature dell’italiano, invece, permettono di capire di più, amplificano gli orizzonti e portano a riflettere su ciò che si dice. E rimane necessario usare un linguaggio che allarghi la comprensione della realtà. Invece oggi purtroppo sembra che non importi la precisione: basta (ma non ci basta!) giocare di estrema rapidità.