Negli scritti di Daniele Comboni, il grande santo missionario, il quadro storico delle scoperte africane occupa uno spazio considerevole. Nel 1880, al Rettore degli Istituti Africani in Verona ricorda che “…il movimento delle scoperte geografiche, il quale dal 1840 fino ad oggi s’è dispiegato sull’Africa con ammirabile energia e perseveranza, è uno degli spettacoli più degni di ammirazione e d’interesse del secolo XIX”. Il Comboni era ben cosciente delle contraddizioni di esplorazioni e scoperte geografiche spesso asservite a mire coloniali e mercantili, ma allo stesso tempo era convinto che ”[…] checché ne dica la terrena filosofia, […] checché si vada insinuando dalla superba incredulità, sta però sempre in fatto, che Fede e Civiltà si baciano in fronte; né l’una può mai andare scompagnata dall’altra”.
Con ammirazione per il “genio investigatore”, raccontò di un grande italiano, il ravennate Romolo Gessi (1813-1881). Questi aveva militato come interprete nella guerra di Crimea nell’esercito inglese: conosceva bene almeno sei lingue e la sua capacità strategica e militare ne fece un fedele collaboratore del governatore Gordon di Khartoum. Non solo si distinse come esploratore, ma combattè fieramente la tratta degli schiavi, contro i negrieri europei ed arabi. Con il suo piccolo e male armato esercito inferse colpi durissimi ai traffici di schiavi nel sud del Sudan e nel Darfur.
Un altro grande esploratore, Pietro Paolo Savorgnan di Brazzà, nato a Roma (1852-1902), figlio di nobili friulani, ottenne, per la Francia, la proprietà di vasti territori (che corrispondono più o meno agli attuali Gabon e Congo).
Fu nominato commissario generale per l’Africa Equatoriale Francese, poi promosso a governatore del Congo. Lo chiamavano il “padre degli schiavi” perché li difendeva dallo sfruttamento, li ricomprava e li liberava. Si accorse dell’indegno sviluppo che la colonizzazione di quelle regioni stava assumendo e denunciò fieramente con più di un rapporto a Parigi. Fu ignorato e cadde in disgrazia. Non ci sorprende quindi che ci sia tutt’oggi una capitale africana che porta il suo nome, Brazzaville.
Non erano né santi né semplicemente filantropi, ma, da veri avventurieri salgariani, combatterono per rendere migliore quel mondo che li aveva affascinati.