(renato scotti) – Si è celebrata venerdì 22 novembre a Villareggia la festa in onore di Santa Cecilia, patrona della musica, degli strumentisti e dei cantanti.

Come da bella e ormai consolidata tradizione, numerosi coristi provenienti da molteplici parrocchie della Diocesi di Ivrea – diretti dal parroco di Villareggia don Alberto Carlevato e accompagnati all’organo dal M° Sandro Frola – hanno animato col canto la Santa Messa solenne delle ore 20 presieduta dal Vescovo di Ivrea, Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Edoardo Aldo Cerrato, C.O.

Dopo la celebrazione liturgica, la festa è proseguita presso il Bar Trattoria Nazionale con un ricco e prelibato “giro pizza”, abbondantemente accompagnato da ottima birra leggera e frizzante, terminato con una allegra e improvvisata esibizione “al tavolo” dei coristi più anziani (ma non solo…) che con voce possente hanno fatto riecheggiare la melodia – e l’armonia – di sempreverdi canzoni popolari.

Offriamo di seguito una sintesi dell’omelia pronunciata da S.E.R. Mons. Cerrato, ma non prima di aver fatto nostri i ringraziamenti che don Alberto (come si può ascoltare anche nel filmato a corredo del servizio) ha rivolto a Mons. Vescovo, ai coristi, ai musicisti, a chi ha curato la preparazione della chiesa, a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della festa per santa Cecilia, certi che la Santa avrà apprezzato quanto fatto in suo onore e che vorrà ottenere da Dio le grazie che le saranno chieste per sua intercessione.

In particolare è doveroso citare l’assistenza dei Diaconi permanenti Elio Blessent e Maurizio Rastello; dei Ministranti Davide Carra, Lorenzo Bisco, Lorenzo Gastaldi, Benedetta Carra, Sebastiano Corgnati.

Anche in questa occasione ha voluto rendere tangibile la propria partecipazione l’Amministrazione comunale di Villareggia, con il Sindaco Fabrizio Salono, il Vice Sindaco Signora Lina Gianetto e per la prima volta la graditissima presenza del Sindaco del Consiglio Comunale dei ragazzi, la giovanissima Sara Forloni.

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Nella sua omelia mons. Cerrato ha, dapprima, tracciato un esauriente excursus sulla vita di Santa Cecilia, che qui riassumiamo.

Nata a Roma in una nobile famiglia romana, nella città eterna morì martire il 22 novembre dell’anno 230, torturata e uccisa per essersi rifiutata di ripudiare Gesù e di sacrificare agli dèi.

Accadde, questo, all’insaputa dell’imperatore, Alessandro Severo, che seppur non cristiano, ebbe il merito di cercare di porre fine alla carneficina dei cristiani la cui persecuzione, nell’Impero romano, terminò solo diversi decenni più tardi, nel 313, con l’Editto di Costantino che riconobbe il Cristianesimo come religio licita, ossia culto riconosciuto ed ammesso dall’Impero.

Qui il Vescovo ha appuntato che «i martiri non mancano mai nella storia della Chiesa, e in diverse aree del mondo tanti sono, ancora oggi, i cristiani perseguitati a causa della loro fede».

Il culto di santa Cecilia si diffuse a Roma e da Roma nel mondo intero in brevissimo tempo: già il Canone Romano (la Preghiera Eucaristica I) ne fa memoria, assieme ad altre sei sante martiri (Felicita, Perpetua, Agata, Lucia, Agnese, Anastasia) e la Basilica di Santa Cecilia in Trastevere fu costruita, probabilmente, sopra la casa in cui visse.

Il culto di santa Cecilia – la cui festa è celebrata anche dalla Chiesa Ortodossa d’Oriente – divenne molto popolare perché Cecilia è patrona della musica, degli strumentisti e dei cantanti. «La musica e il canto», ha sottolineato mons. vescovo, «contribuiscono grandemente alla bellezza della liturgia e ne sono parte integrante, sono essi stessi liturgia».

Inoltre, rivolgendosi ai cantori, «non dimenticate che il canto è preghiera esso stesso, e la preparazione che fate in vista dell’esecuzione è un servizio, un atto di carità».

Per questa ragione, pur non essendo indicato espressamente con questo termine, può essere considerato a tutti gli effetti «un ministero prezioso».

Stante l’importanza dei canti e della musica all’interno della liturgia (*), mons. Cerrato ha ricordato, in particolare, il senso dei canti della Santa Messa.

Il canto d’Ingresso (antifona d’ingresso, nel messale) ha la «funziona importantissima di introdurci e prepararci alla celebrazione, di farci entrare dentro questo cammino di preghiera, di riflessione, di ascolto, di silenzio, di parola».

Con il canto del Kyrie «dopo esserci fatti il segno della croce e aver confessato i nostri peccati, chiediamo al Signore di avere misericordia di noi: Kyrie eleison / Signore, abbi misericordia».

Il Gloria «è il canto angelico che risuona nella notte di Natale e chiama i pastori all’incontro con Cristo: Glória in excélsis Deo et in terra pax homínibus bonae voluntátis».

È un invito a incontrare Cristo in tutto il Suo mistero, perché «nella celebrazione della Santa Messa tutta la Sua persona è presente».

Dunque, Gloria a Dio, e pace in terra agli uomini bonae voluntatis, cioè «agli uomini che sono abbracciati dalla volontà buona di Dio, che vuole salvarli, ma al tempo stesso agli uomini che hanno loro stessi la volontà di amare Dio», ossia accolgono il dono dell’amore di Dio e lo ricambiano facendo la Sua volontà

[NdA: a tal proposito, e a rischio di cadere nell’ovvietà, ricordiamo che la sola gratia, ossia la grazia di Dio come unica causa efficace di salvezza, per cui ci si salva indipendentemente dalle proprie azioni e dai propri meriti, non è dottrina cattolica, ma protestante].

Con il canto del Salmo Responsoriale esprimiamo la nostra gratitudine a Dio che «ci ha parlato [nella prima lettura] e noi, cantando, gli diciamo “grazie” per quello che ci ha detto».

L’Alleluia è una acclamazione di trionfo, «lodiamo Dio con tanta enfasi e con tanto slancio».

E lo facciamo perché «sta per arrivare Gesù Cristo in persona, il Vangelo, è Lui che ci parla al punto tale che al termine della lettura [del Vangelo] gli diciamo “Lode a te, o Cristo” … a te che sei qui e ci hai parlato, a te che sei qui e ci accogli».

Con il canto all’Offertorio «si prende il frutto della terra e del nostro lavoro e lo si presenta a Dio», riconoscendo però che «non è solo frutto del nostro lavoro, ma è innanzitutto dono di Dio prima che opera nostra».

Il Santo è «il canto angelico per eccellenza, gli angeli santi cantano incessantemente “Santo, santo, santo”!». Nella Santa Messa, alla fine del prefazio, ci viene detto che «lo cantiamo con le nostre umili voci assiemi agli angeli e ai santi del Paradiso».

Dunque, mentre cantiamo il Santo, «dobbiamo abituarci a pensare che al di sopra dell’aula nella quale noi celebriamo è presente il Paradiso e canta con noi a Dio insieme agli angeli, “Santo, santo, santo”!».

L’Agnello di Dio è il canto con il quale supplichiamo Dio di avere pietà di noi, «abbi pietà di noi, tu che togli i peccati del mondo»

[NdA: riportiamo che, a rigore, sarebbe più corretto tradurre in “tu che porti, che prendi su di te i peccati del mondo”. Cfr. qui

Il canto di Comunione accompagna la processione dei fedeli che si avviano a ricevere la santissima Eucaristia.

Infine, il canto finale è anch’esso parte della liturgia, che «è iniziata cantando a Dio e finisce cantando a Dio» dopo aver “cantato a Dio lungo tutto il percorso, perché il canto non è un abbellimento, è parte integrante della liturgia».

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(*) [NdA] L’importanza data dalla Chiesa alla musica sacra è attestata da vari documenti del Magistero pontificio.

Ricordiamo, fra i principali: Motu proprio Tra le sollecitudini di Pio X, 22 novembre 1903 (la scelta del giorno non fu casuale, essendo il giorno della memoria di Santa Cecilia); Costituzione Apostolica Divini Cultus di Pio XI, 20 dicembre 1928; Lettera Enciclica Musicae Sacrae disciplina di Pio XII, 25 dicembre 1955. Vi è poi la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II che, dopo aver ricordato che “l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” (n. 36), dedica alla musica sacra dedica il capitolo VI e ricorda che “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana” a cui deve essere riservato “il posto principale”, fermo restando che “gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica” (n. 116).