Conclude – se è permesso così dire – “in bellezza” l’itinerario attraverso la “Dilexit nos” di Papa Francesco, il Vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, che affida l’ultimo tratto di strada

una strada che abbiamo seguito per tutto questo mese di novembre, leggi qui il rimando agli articoli precedenti

all’odierna catechesi dispensata tramite il web.

“In bellezza” perché il Presule ci regala alcune immagini bellissime ed anche commoventi, tratte dal testo magisteriale.

La prima (n.19) ci parla della figura di Maria contemplata nel Vangelo di San Luca.

Maria, la “donna del sì”, è docile alla volontà di Dio che di Lei si serve per il compimento del proprio provvidenziale disegno salvifico, ma è tutt’altro che una “credulona”.

Anzi, è l’emblema della persona intelligente e riflessiva, che “custodisce” le cose straordinarie “meditandole nel suo cuore”.

Il suo affidarsi alla volontà del Padre accoglie il Mistero (nulla è impossibile a Dio) come unica via “ragionevole” verso la comprensione escatologica dell’infinito.

Non per caso Maria è la figura attorno alla quale si sviluppa la riflessione contenuta nella bellissima opera di Mons. Clemente RivaL’intelligenza nella Chiesa”, che mette in rilievo proprio questo consapevole risolversi, per assecondare quella straordinaria vocazione.

Ecco il primo passo citato nell’Enciclica, cui Mons. Cerrato fa riferimento.

“19. Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare. Nel Vangelo, la migliore espressione di ciò che pensa un cuore sono i due passi di San Luca che ci dicono che Maria «custodiva (syneterei) tutte queste cose, meditandole (symballousa) nel suo cuore» (Lc 2,19; cfr 2,51). Il verbo symballein (da cui “simbolo”) significa ponderare, riunire due cose nella mente ed esaminare sé stessi, riflettere, dialogare con sé stessi. In Lc 2,51 dieterei significa “conservava con cura”, e ciò che lei custodiva non era solo “la scena” che vedeva, ma anche ciò che non capiva ancora e tuttavia rimaneva presente e vivo nell’attesa di mettere tutto insieme nel cuore”.

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La seconda gemma posta alla nostra attenzione ci porta, invece, nel pieno della modernità, per quella che pare una familiarità con il pensiero sturziano, di critica al “moderno”, ma “a partire” dal moderno.

Le tecniche (nel caso, l’intelligenza artificiale) non potranno esaurire la vocazione dell’uomo all’Amore, quasi la conferma di una insopprimibile necessità di non esiliare lo spirito, nell’illusione che la materia possa bastare a se stessa.

Ecco il passo indicato, che si avvale altresì di immagini poetiche di vita autentica e familiare.

“20. Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita. Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore… si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore”.

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Infine

ne abbiamo citato qualche passo in un precedente articolo, di presentazione dell’Enciclica – leggi qui –

si ritorna sull’intuizione mirabile di San John Henry Newman che “incide” nella pietra la massima “Cor ad cor loquitur”.

“26. San Bonaventura diceva che a ben vedere si deve interrogare «non la luce, ma il fuoco». [17] E insegnava che «la fede è nell’intelletto, in modo da provocare l’affetto. Per esempio: sapere che Cristo è morto per noi non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore». [18] In questa prospettiva, San John Henry Newman scelse come proprio motto la frase “ Cor ad cor loquitur”, perché, al di là di ogni dialettica, il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo Sacro Cuore. Questa stessa logica faceva sì che per lui, grande pensatore, il luogo dell’incontro più profondo con sé stesso e con il Signore non fosse la lettura o la riflessione, ma il dialogo orante, da cuore a cuore, con Cristo vivo e presente. Perciò Newman trovava nell’Eucaristia il Cuore di Gesù vivo, capace di liberare, di dare senso ad ogni momento e di infondere nell’uomo la vera pace: «O santissimo ed amabilissimo Cuore di Gesù, tu sei nascosto nella santa Eucaristia, e qui palpiti sempre per noi. […] Io ti adoro con tutto il mio amore e con tutta la mia venerazione, col mio affetto fervente e con la mia volontà più sottomessa e risoluta. O mio Dio, quando tu vieni a me nella santa comunione e poni in me la tua dimora, fa’ che il mio cuore batta all’unisono col tuo. Purificalo da tutto ciò che è orgoglio e senso, che è durezza e crudeltà, da ogni perversità, da ogni disordine, da ogni tiepidezza. Riempilo talmente di te, che né gli avvenimenti quotidiani, né le circostanze della vita possano riuscire a sconvolgerlo, e nel tuo timore e nel tuo amore possa trovare la pace»”.

Ma ascoltiamo ora la parola del Vescovo.