Riprendiamo da dove ci siamo lasciati la scorsa settimana, ovvero sulle pressioni sociali che gravano sulle donne (ma non solo) al punto da minare, in taluni casi, la qualità della loro vita. Con il termine “DCA” si fa riferimento ai tre principali disturbi dell’alimentazione: l’anoressia nervosa (restrizione alimentare, paura di ingrassare…), la bulimia nervosa (disregolazione nel controllo del proprio peso) e il disturbo da binge-eating (abbuffate almeno una volta a settimana per un periodo non inferiore a 3 mesi).
Le cause del disordine alimentare sono molteplici e riguardano elementi attinenti la biologia e la genetica ma anche fattori ambientali, psicosociali e psichiatrici: proprio per questo il trattamento dei DCA deve essere il più precoce e preciso possibile al fine di limitarne i devastanti effetti a lungo termine. Se non trattati nei tempi e nei modi adeguati, i DCA hanno pesantissime ricadute sul benessere psicofisico e portare, nei casi più gravi, anche alla morte.
Sebbene le linee guida prevedano l’uso delle terapia cognitivo comportamentale come l’approccio clinico e metodologico, ad Oxford hanno cominciato a migliorare le tecniche proprie della terapia cognitiva e comportamentale per rispondere a tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione, definendola CBT-E (Enhanced Cognitive-Behavior Therapy). Gli specialisti di Villa Garda, a Verona, hanno ulteriormente adattato le metodologie della CBT-E ai giovani tra 12 e 19 anni.
Gli adattamenti alla metodologia hanno permesso di “agganciare” meglio i giovani pazienti che spesso possono avere sentimenti ambivalenti in merito all’opportunità di avviarsi verso un trattamento dei disturbi alimentari; favorisce un approccio collaborativo; garantisce un approccio attagliato ai bisogni specifici; ed è un intervento che non presuppone necessariamente il coinvolgimento pieno della famiglia.
Rimettere dunque il giovane al centro dell’intervento, stabilendo insieme ai professionisti le modalità con cui effettuare il trattamento riabilitativo, permettendogli di comprendere la natura del disturbo e i fattori che lo mantengono, permette una collaborazione che avvia ad un cambiamento duraturo nel tempo.