Nel momento più aspro dello scontro Tajani-Salvini la premier Meloni è salita al Quirinale minacciando le elezioni anticipate; ha poi minimizzato parlando di coalizione coesa e provvedendo subito alla sostituzione del ministro Fitto (divenuto vice presidente Ue) con il capogruppo alla Camera di FdI Foti. Tutto risolto? Non proprio.

Permane anzitutto la diversa collocazione in Europa, perché la Lega ha votato contro l’esecutivo von der Leyen, nonostante la presenza del candidato della Meloni (Fitto, appunto); la premier ha incassato in silenzio la rottura di Salvini, dopo aver polemizzato con il Pd sulla “mancata difesa” del rappresentante italiano a Bruxelles; ma i Dem, a larga maggioranza, hanno votato sì all’Esecutivo von der Leyen, seguendo la linea europeista indicata da Mattarella.

Sulle riforme istituzionali è tutto fermo: i Berlusconiani e Fratelli d’Italia si fanno scudo della sentenza della Corte costituzionale per frenare sine die la legge (censurata) del leghista Calderoli; sulla giustizia Forza Italia sta bloccando il ministro Nordio mentre il “premierato elettivo” è sempre nel cassetto per scelta della stessa Meloni, timorosa dell’esito referendario.

Continua anche il braccio di ferro su alcune norme della “finanziaria 2025”, mentre cresce lo scontro sui contenuti con Cgil e Uil, che vantano il successo dello sciopero generale, prendendo le distanze dagli atti gravi di violenza compiuti da minoranze estremiste, vicine ai Centri sociali e alla protesta “pro Pal”. Landini chiede un cambio radicale della legge, con una svolta a favore dei ceti disagiati che crescono nella società iper-capitalista. Diversa la linea della Cisl, che vede nel programma di governo luci e ombre.

Il timore della Meloni è la paralisi dell’Esecutivo per gli scontri interni, mentre esplodono le questioni: dalle nuove guerre in Europa e Medio Oriente con il conflitto Siriano alla inquietante crisi industriale europea, in primis quella dell’automobile (da Wolkswagen a Stellantis). La minaccia di elezioni da un lato è un richiamo ai partner litigiosi (che smentiscono ogni giorno la narrazione del “governo coeso”), dall’altro è un tentativo di fuga in avanti per approfittare della crisi della coalizione di centro-sinistra, sempre più lacerata, dall’Europa ai rapporti tra i partiti dell’auspicato “campo largo”.

A Strasburgo è andato in scena, come nel centro-destra, il “libera tutti”: Verdi e Sinistra contro il nuovo governo, come Conte, particolarmente critico con i Dem. Questi, a loro volta, si sono divisi in tre schieramenti sugli aiuti a Kiev. Per decenni la politica estera è stata la discriminante delle alleanze italiane, dal conflitto De Gasperi-Togliatti alle intese Fanfani-Nenni sulla politica di distensione est-ovest negli anni di Papa Giovanni. Oggi Roma appare debole e divisa sullo scenario europeo con un quadro politico disarmante: all’opposizione Salvini, Conte, Bonelli, Fratojanni, in maggioranza Tajani e Schlein, con von der Leyen ma senza rompere con i “Patrioti” di Orban la premier. Il richiamo dei Padri fondatori della UE, da Spinelli a De Gasperi, sembra lontano, più vicino un “sovranismo” all’italiana, molto intriso di provincialismo.

Nel centro-sinistra continua poi la guerra devastante tra i Pentastellati, con Grillo che annuncia nuove iniziative contro il partito di Conte; la crisi preoccupa i Dem che si interrogano sulla tenuta dell’alleato: la stessa segreteria ha dichiarato che è prioritaria l’intesa programmatica e che non esiste un’alleanza a tutti i costi. Un aut-aut al M5S e alle sue continue polemiche; peraltro dall’Assemblea dei Riformisti Dem è emersa una richiesta di apertura all’area moderata del Paese, che non può essere sacrificata sull’altare del bipolarismo destra-sinistra. Si riparla dell’ipotesi di ricostruire una nuova Margherita (il partito di Rutelli e dei Popolari), considerando inadeguata la rappresentazione neo-centrista espressa da Renzi e Calenda, i due eterni litiganti.

Il dibattito politico italiano deve poi misurarsi con la fine in Europa dell’egemonia franco-tedesca: nella Parigi delle liberalismo macroniano siamo all’ingovernabilità, a Berlino si torna a votare per il fallimento dell’alleanza verdi-liberali-socialdemocratici, con il cancelliere Scholtz che non ha saputo reggere l’eredità impegnativa della Merkel, mostrando debolezze anche verso Putin e la sua aggressione a Kiev.

Senza una forte e coerente politica europeista come potrà Roma svolgere un ruolo positivo per uno sviluppo del Vecchio Continente nella linea della giustizia, della solidarietà, della “giusta pace” tra le nazioni in guerra?