“Rallègrati, figlia di Sion” (Sof. 3, 14), “il Signore è vicino” (Fil. 4, 4). La terza domenica d’Avvento, “Gaudete”, è connotata dal segno della gioia cristiana; la liturgia sospende la severità del tempo di Avvento, deponendo le vesti violacee della penitenza: Il Signore è ormai alle porte, Egli “sta alla porta e bussa” (Ap. 3, 20), come annuncia il precursore di Cristo, Giovanni Battista.
A prima vista, le letture di questa domenica sembrano contrastanti: l’insistente invito alla gioia (I e II lettura), e l’esigente appello a un cambio di vita, alla conversione (Lc. 3, 10-18), ma questi due concetti sono inscindibili per cogliere il cuore della gioia autentica: “Il cristiano è una persona gioiosa – ricorda Papa Francesco – e la sua gioia non è qualcosa di superficiale ed effimero: la nostra gioia deriva dalla certezza che il Signore è vicino” (13/12/2015).
“Che cosa dobbiamo fare?”. Per tre volte
(v. 10.12.14) compare insistente questa domanda, posta da tre categorie sociali differenti: le folle, i pubblicani e alcuni soldati. Le risposte del Battista (“Chi ha due tuniche ne dia una… Non esigete nulla di più… Non maltrattate…”) sono azioni concrete di carità, perché “l’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta” (Deus Charitas est, 28). L’Evangelista, puntando il riflettore su Giovanni Battista, “figura della Legge precorritrice di Cristo” (Ambrogio, Lib. V, Luca), propone un’immersione nella concretezza della logica di Dio, un piccolo compendio per accogliere il Principe della Pace nel cuore. Riprendendo le parole di Papa Benedetto XVI, si può dire che “le indicazioni del Battista sono sempre attuali. Anche nel nostro mondo complesso, le cose andrebbero meglio se ciascuno osservasse queste regole di condotta” (16/12/2012).
“Io vi battezzo con acqua…Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (v.16). Ecco la missione di Giovanni: un appello straordinario alla conversione. Il suo Battesimo, già prefigurato simbolicamente nelle acque del Mar Rosso (1 Cor. 10, 1-2), “è legato a un ardente invito a un nuovo modo di pensare e di agire, è legato soprattutto all’annuncio del giudizio di Dio” (“Gesù di Nazareth”, I, Milano 2007, p. 34). L’appello di Giovanni va dunque oltre e più in profondità rispetto alla sobrietà dello stile di vita: chiama ad un cambiamento interiore, rientrando “in interiore homine”, per una sincera verifica della propria esistenza.
Solo facendo spazio nel cuore, liberandolo dalle pesantezze della vita, si ritrova l’essenza della gioia, “il gigantesco segreto del cristiano” come ricorda Chesterton nelle pagine finali di “Ortodossia”, di colui che “sorride per le cose grandi e che è padrone di una grande gioia” perché sa vedere sull’orizzonte la Luce che proviene da Betlemme e che si fa piccola per salvare ogni uomo.
Lc 3,10-18
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni,
dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?».
Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia
a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare
e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?».
Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più
di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati:
«E noi, che cosa dobbiamo fare?».
Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente
a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni,
si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo,
Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me,
a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Tiene in mano la pala per pulire la sua aia
e per raccogliere il frumento nel suo granaio;
ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni
Giovanni evangelizzava il popolo.