Non si può dire che di bullismo non se ne parli, anzi. Lo ha fatto nel suo discorso di fine anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mettendolo in relazione a comportamenti violenti che si riscontrano nei giovani. E Papa Francesco lo ha recentemente definito un esercizio vicino a quello di fare la guerra. E pure in tema di “bullismo di scuola” di operazioni di contrasto se ne sono fatte e se ne fanno.
Tuttavia è sempre difficile, per tutti, essere esempio costante e continuo di modalità pacifiche e di rispetto dell’altro. Il mondo di oggi pare viaggiare in direzione opposta: non è soltanto un problema dei social sempre più invadenti, c’è anche la questione delle guerre che ci circondano e che chiedono di schierarsi, ponendoci sempre in una prospettiva diadica, di bianco o nero, giusto o sbagliato, sano o malato.
Anche nel bullismo la visione è sempre diadica, che si faccia riferimento al bullo e alla vittima; o al contrasto tra chi è forte e chi è debole; tra chi vince e chi perde, tra chi viene condannato e chi viene assolto. Nel bullismo perdono tutti: la vittima, il bullo e chi sta dalla sua parte, chi osserva e tace, chi osserva e denuncia, chi sa e chi ha voltato la testa dall’altra parte. Perdono il perseguitato e il persecutore, ma anche i loro genitori, gli insegnanti, la dirigenza scolastica, la società educante… perde ognuno di noi.
Ed è proprio perché non si affronta il tema della sconfitta, che gli interventi sul contrasto al bullismo di frequente non portano i risultati sperati. Solo attraversando quella sgradevole sensazione che ci offre la disfatta si può meditare su modi alternativi di pensare la relazione con l’altro e si può cercare di andare incontro alla riparazione. Nella riparazione non c’è la proclamazione di un vincitore: c’è piuttosto un’assunzione di responsabilità, c’è il mettersi nei panni dell’altro, l’accoglierne la storia e il dolore, il convivere con la vergogna per superarla attraverso un cambiamento profondo, che, nella dinamica della vittima e del bullo significa passare da una relazione asimmetrica ad una relazione paritaria. Una relazione, cioè, che supera la filosofia della competitività a tutti i costi dove solo a chi arriva primo si riconosce l’onore della vittoria.
Per superare il concetto della competizione bisogna che ci si metta a tavolino e si decida insieme che strada prendere, in quali valori credere, come darsi la mano per sostenere chi è più fragile o ha più difficoltà ad accedere ad un pensiero di altro tipo… perché, oltre a parlarne spesso, nel contrasto al bullismo possiamo fare meglio. Tutti.