La mancanza di medici è un dramma che – già oggi – ciascun individuo vive sulla propria pelle. In tutta Italia si registrano forti carenze di personale medico in tutti i servizi e in Piemonte la situazione non è più rosea. Da una nota della consigliera regionale Laura Pompeo, che ha approfondito la situazione che si registra nei servizi di neuropsichiatria infantile e di psichiatria, si evince che “attualmente sono in servizio, in Piemonte, 85 dirigenti medici neuropsichiatri e 317 dirigenti medici psichiatri contro, rispettivamente i 95 e 361 previsti; che nella sola Asl To5 nel periodo post Covid le richieste di prima visita risultano molto più elevate rispetto al periodo precedente la pandemia: si passa, dalle 704 richieste del 2019 alle 1404 del 2022, alle 1370 del 2023 fino alle 1174 dei primi 9 mesi del 2024. I pazienti in carico nell’anno 2023, nella nostra Regione, sono stati 52.894. Pur rilevando un miglioramento delle liste di attesa rispetto al periodo successivo alle restrizioni imposte dal Covid, i tempi per le visite restano preoccupanti”.
Non è stato però il Covid a stravolgere i numeri: la pandemia è coincisa anche con un naturale ricambio dei medici andati in pensione e mai reintegrati. Nei servizi di psichiatria e di neuropsichiatria infantile non sono carenti solo i medici, ma anche altre figure essenziali (psicologi, terapisti della neuropsicomotricità, logopedisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori).
L’emergenza dunque non è solo in merito alla lista d’attesa per la prima visita, ma riguarda anche il dopo. Dobbiamo sempre tenere a mente che una malattia, ma soprattutto la presa in carico di ogni individuo, non può prescindere da una lettura globale della condizione della persona dal punto di vista fisico, psicologico, sociale e assistenziale. Se dopo la prima visita non inseriamo quella persona in un complesso di attività (la somministrazione di farmaci, la riabilitazione e/o l’ascolto del disagio), rischiamo non solo di fare un intervento poco efficace, ma di generare delle cronicità o delle condizioni di malessere che prese e trattate in tempo avrebbero potuto risolversi differentemente.
Oltre al singolo medico dobbiamo pensare a come tutte le équipe di professionisti della salute sono state svuotate e impoverite, causando ritmi di lavoro insostenibili e una condizione di mala sanità che coinvolge tutti i cittadini, talvolta sfociando anche in quelle aggressioni ai medici che da alcuni tempi leggiamo nelle cronache. Lasciare il Paese in una condizione di emergenza sanitaria vuol dire inasprire il divario sociale tra chi può economicamente sostenere le spese di servizi privati e chi ha dovuto rinunciare a percorsi di cura. Protrarre una condizione di malcontento sociale non giova a nessuno.