(elisabetta acide) – Tutto pronto per la festa del Ringraziamento per i frutti della terra, in occasione della festa di S. Antonio Abate ( del 17 gennaio), che verrà celebrata domenica 19 gennaio alle ore 9,00 nella Parrocchia “S.Anna” di Borgo Revel.
Nella Chiesa Cattolica si è soliti celebrare la “Giornata del Ringraziamento” nel mese di novembre ; e quest’anno il giorno 10 novembre 2024,si è celebrata la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che aveva come slogan: “La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”, all’insegna della preparazione dell’anno giubilare “Pellegrini di Speranza”.
Una giornata che invita a riflettere sull’importanza delle risorse della terra, della sua tutela, della valorizzazione del patrimonio agricolo, che invita a pensare al consumo critico ed alla responsabilità della cura della “casa comune”.
In alcune comunità agricole, per tradizione popolare contadina, in occasione della festa di S. Antonio abate, si celebrava il ringraziamento a Dio per il dono della creazione e dei raccolti, unita alla benedizione dei mezzi agricoli, delle campagne e dei cascinali, per cui si invocava Dio, per intercessione del santo, protezione contro incendi e disastri e si ponevano a protezione anche gli animali domestici.
Questa tradizione si è mantenuta nelle comunità agricole, tra cui quella della piccola borgata, nella quale, la tradizionale “festa”, vede la partecipazione di chi ancora, con fatica, si dedica al lavoro della terra e dei suoi frutti ed alleva capi di bestiame.
Tradizione, dunque che vedrà la comunità di Borgo Revel in ringraziamento a Dio, durante la celebrazione domenicale, che sarà seguita dalla benedizione di mezzi agricoli e di animali domestici.
Antonio abate è il protettore dell’agricoltura e degli allevatori, e in un borgo agricolo, come da tradizione orale tramandata nella storia del paese, è stato scelto come santo a cui “ricorrere” . La festa del ringraziamento, dunque, celebrata nella domenica seguente la sua ricorrenza del calendario liturgico, reca gli echi di questa tradizione popolare agricola.
Non abbiamo grandi informazioni, dovremmo forse approcciare una lettura di archivio parrocchiale ( non è escluso che la scrivente si addenti, se ne avrà la possibilità, nei documenti parrocchiali, se saranno accessibili), tuttavia, la “memoria” ed il “ricordo” degli anziani ci aiuta: nella “fede” dei contadini vigeva un rapporto particolare con S. Antonio a cui si pensava spesso in campagna ed a cui ci si rivolgeva per la richiesta di protezione per avvenimenti ed imprevisti legati all’integrità dei raccolti, al benessere degli animali ed alla protezione delle cascine. E il santo dona “volto” ed “appartenenza” alla vita comunitaria.
La giornata, allora, diventa l’occasione di una preghiera di ringraziamento per quanto ci è stato lasciato in eredità, e momento di riflessione per l’attuale situazione di “crisi ecologica” a cui assistiamo a livello mondiale.
Preghiera ed impegno di tutti, ringraziamento e riflessione sugli “sprechi” personali e planetari, ma anche progettualità e azioni concrete, affinchè i “frutti della terra”, trovino collocazione sulle tavole di tutti, in egual misura.
In particolare, quest’anno, la festa è stata occasione di riflessione con i bambini della parrocchia che frequentano il catechismo, all’interno dei “Laboratori di catechesi”.
Da qualche mese, infatti, le catechiste, sono impegnate nel “nuovo volto” della catechesi, con la catechesi integrale ed integrata che cerca, con il coinvolgimento della comunità, di creare occasioni di testimonianza e di educazione alla fede, in situazioni dove tutti si sentono missionari di prossimità per i piccoli, che dovrebbero vedere negli adulti, quel “volto” di Gesù che li chiama accanto a sé nella Chiesa.
Lunedì 13 gennaio, si è svolto , proprio per preparare bambini e ragazzi alla celebrazione della festa domenicale, il “Laboratorio di panificazione”, nel quale, sotto la guida della cuoca Katia, i bambini, nel ricordo della tradizione del “pane di S. Antonio”, hanno preparato l’impasto del pane, lasciato pazientemente lievitare, cotto al termine del “ tempo di attesa” e trasformato in tanti fragranti bocconcini, che sarà distribuito, proprio domenica, al termine della S. Messa.
Occasione dunque di “coniugare” catechesi, vita e pratiche cristiane e religiose, legate alla religiosità degli avi , nel ricordo degli “esempi” dei santi e momento di riflessione dell’importanza della tutela dell’ambiente e della cura degli animali.
Sul racconto della vita di S. Antonio, allora, i bambini, grazie ai preziosi suggerimenti, perizia e pazienza, della cuoca Katia, hanno ascoltato dalla voce delle catechiste, la vicenda di Antonio, e il racconto delle tradizioni a lui collegate. (al termine dell’articolo, brevi cenni per chi volesse approfondire, della vita del santo e della tradizione della benedizione del pane), hanno “impastato”, levigato, compreso l’importanza della “sapiente attesa” della lievitazione, e domenica, dopo il benedizionale sul pane, distribuiranno il “frutto del loro lavoro”, ai presenti alla s. Messa domenicale.
Se ai bambini trasmettiamo le “tradizioni” religiose nella logica del futuro, allora come adulti, riflettiamo soprattutto su due aspetti: l’agricoltura, bene prezioso e fino a qualche anno fa, sostentamento di numerose comunità, dovrebbe mantenere le sue basi “ecologiche”, che non dovrebbero dimenticare o smarrire, nel tentativo di inseguire solo massimazione di profitto e “regole” economiche e seppur con le indubbie fatiche materiali e strutturali, dovrebbe condurre a progredire nel rispetto del suolo e dell’uomo.
Il secondo aspetto che forse converrebbe recuperare anche per noi “adulti”, dovrebbe essere quello del “ricordo” e “intercessione” dei santi. I santi ( che nella tradizione cristiana sono circa dodidicimila 11850 ), sono tutti coloro che, sull’insegnamento di Cristo e del suo Vangelo, sono di esempio ad ogni cristiano, per le loro gesta, per le loro azioni, per le loro opere, compiute alla “sequela” di Cristo. Se tutti siamo “chiamati” come cristiani alla santità, allora, possiamo trovare “esempi” e guide alla sequela del Maestro.
Per partecipare alla celebrazione, benedizione degli animali e mezzi agricoli e ritirare le “pagnottine di S. Antonio”, l’appuntamento è domenica 19 gennaio 2025 ore 9,00 Chiesa Parrocchiale “S. Anna” frazione Borgo Revel.
Per chi volesse approfondire, brevi cenni della vita di S. Antonio Abate- Nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all’anno 250. Fu un eremita tra I più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico. Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio, fu un insigne padre del monachesimo orientale.
Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente.
Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un’antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce – soprattutto di porco – allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare.
La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di “residenza”.
Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall’imperatore Massimiliano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l’eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell’impero.
Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all’età di 105 anni, il 17 Gennaio del 355, nel suo eremo sul monte Qolzoum.
Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles.
Nominato protettore degli agricoltori ed allevatori, anche perché rappresentato nell’iconografia con un maialino a fianco.
In Francia, in quel periodo, sorse l’ordine degli “Antoniani” approvato successivamente da papa Urbano II.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio “santo” del popolo.
Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell’uomo, sia degli animali. E’ stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle.
Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco sacro”.
Antonio è anche considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. E’ nota infatti l’importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante.
Abbinato spesso alla protezione del fuoco nei cascinali, si procedeva con il benedizionale della benedizione delle case e dei fienili per sua intercessione. Ecco perché alcune comunità, per tradizione, festeggiano il santo per intercessione del nuovo racconto ed a protezione delle campagne proprio in occasione della sua festa.
Spesso rappresentato con un maiale. La tradizione dice che S. Antonio fosse accompagnato da animali (Il biografo di S. Antonio, S.Anastasio ne nomina alcune: leoni, tori, lupi, aspidi, scorpioni – tutti animali del deserto), dunque i frati antoniani allevavano maiali anche per poter donare ai poveri che si rivolgevano a loro qualche elemento di sostentamento e il maiale ne fornisce molti.
Nell’iconografia, è stato scelto il maiale, in quanto, proprio perché non si aveva dimestichezza con gli animali del deserto, si utilizzò un animale “simbolico” che rappresentava il “peccato” e cioè il cinghiale, abitante del bosco, divenuto, poi, per similitudine, un maiale ( dalla Borgogna – Francia), per indicare in realtà l’animale “domestico” per il santo che “addomestica” la tentazione, dunque non pecca.
Altra tradizione vuole che proprio perché legato alla tradizione contadina, anche molte famiglie, allevavano maiali in onore di S. Antonio.
Per le famiglie contadine del passato la macellazione del maiale era un momento cruciale all’interno dell’anno. La riserva alimentare ottenuta era determinante per il sostentamento della famiglia e il rito dell’uccisione, e delle varie fasi della macellazione era un tassello importante della collaborazione, non solo familiare, ma anche del vicinato.
Fissato il giorno dell’uccisione, (si diceva che non si doveva ucciderlo in luna crescente perché la salsiccia non sarebbe durata) ci si procurava “la vanuja” (un’ampia vasca a forma trapezoidale in legno), dove veniva depositato l’animale ucciso, spellato dalle setole e ben lavato, veniva issato con delle corde alle travi all’interno del portico; gli si levavano le interiora, che venivano subito lavate e conservate perché servivano ad insaccare i figalet (le salsicce), i salami, le soppresse e i cotechini fatti con un tipo di carne tritata, salata e dosata di droghe secondo il desiderio della famiglia. Si tagliavano le braciole, le costicine, il guanciale e gli zamponi. Mentre il sangue che era stato raccolto nel pentolone di rame (di solito dalla padrona di casa) veniva adoperato per fare il sanguinaccio ma anche per mescolarlo col vino e farne un sugo prelibato dove intingere la polenta della serata.
Il periodo in cui si sceglieva la data dell’uccisione era tra il 30 novembre, Sant’Andrea, e il giorno di Sant’Antonio Abate, appunto, anche se qualcuno preferiva farlo nel periodo di Carnevale.
“In realtà, fino agli anni ’50, nel giorno di Sant’Antonio non si potevano macellare animali e men che meno il maiale, anzi si doveva provvedere perché mangiasse bene, e il rimedio alle loro malattie era il sale, che veniva benedetto durante il vespero e sparso nel fieno e in altri alimenti per dar loro sapore.
Per nutrire il maiale della comunità, protetto dal santo abate, un questuante andava di casa in casa a chiedere gli avanzi da dare all’animale, che poi veniva messo in palio per la lotteria della sagra de Sant’Antoni. Il vincitore si assicurava carni succulente per un buon periodo, ma una coscia doveva essere riservata ai più poveri del paese, che la gustavano in un pasto collettivo. Da qui il detto che girava in alcune comunità: «Toni, Toni, quala ela la gamba de Sant’Antoni?»
Il pane dei “poveri” e degli “animali”, diventa la tradizione popolare. Sull’esempio di altri santi, si usa far “benedire pagnottine” e mangiarne un pezzo ed un pezzo darne anche agli animali domestici a segno di protezione. In alcune zone il pane di s. Antonio abate è quello “dolce” ( per distinguerlo da quello di S. Antonio da Padova). Il significato, in realtà è quello della “carità” a cui mai un cristiano deve rinunciare ( dare almeno un pezzo di pane a tutti) .
Occorre anche ricordare il significato del pane come cibo nella Bibbia e per i cristiani : Il pane, a causa del primo peccato, richiede il lavoro dell’uomo: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gen 3,19),tuttavia, il pane, dono di Dio e frutto del lavoro umano, è un bene da condividere. Abramo ai tre ospiti inattesi offre il pane per sfamarsi (Gen 18,5). Il pane condiviso ristabilisce la fraternità. I figli di Giacobbe, che vanno in Egitto a cercare il grano, trovano il fratello che, venduto per invidia, credevano morto. Il pane, così, diviene strumento di riconciliazione, di fraternità rinnovata e di unità (Gen 47,12. 54-55).
Il pane è il dono del Signore che «sostiene il cuore dell’uomo» ( Sal 104,15); è segno della benedizione che dona ai suoi amici nel sonno (Sal 127,2); è il nutrimento eccellente (Sal 81,17). Il pane interpreta le diverse situazioni della vita: se dolorose si mangia un pane di lacrime o di cenere (Sal 42,4; Is 30,20); se gioiose è pane di gioia (Qo 9,7). Il pane è simbolo della parola di Dio di cui il popolo avrà fame (Am 8, 11) perché «l’uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3; Mt 4,4). Con la sua parola, Dio sfama gratuitamente il suo popolo (Is 55,1ss, Prov 9,5 s; Ger 15,16).
Il pane ricordiamo, nel Nuovo Testamento è nutrimento e simbolo della parola di Dio, ma in Gesù, assume una nuova connotazione. Egli, parola del Padre fatta carne, cioè, persona, (cfr. Gv 1,14) si definisce: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48); il «sono il pane vivo disceso dal cielo: se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno» (Gv 6,51) e questo pane «è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Gesù è il nutrimento che soddisfa la fame di ogni persona: «Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6,35). Il pane, provenendo da molti grani, che dopo essere stati macinati e lavorati, diventano unico pane, quando viene spezzato e condiviso, crea unità in coloro che l’assumono. Gesù decide di rendere visibile il dono totale della sua vita, proprio nel pane che spezzò e diede da mangiare ai discepoli. Le parole «Questo è il mio corpo dato per voi. Prendete, mangiatSae!» significano appunto “Questo sono io che mi dono a voi” per farvi vivere in pienezza. E ogni celebrazione Eucaristica è per noi memoriale.
I discepoli di Emmaus lo riconoscono risorto «nello spezzare il pane» (Lc 24,35). La comunità cristiana degli inizi partecipa alla catechesi degli apostoli e “allo spezzare del pane”. I cristiani di Troade si riunivano «il primo giorno della settimana per spezzare il pane» (At 20,7).
Non dimentichiamo che Gesù è nato a Betlemme, città di Davide, che etimologicamente in ebraico significa “casa del pane” (בֵּיִת לֶחֶם, Beit Leḥem). Viene fasciato e posto “in una mangiatoia”, specifica il Vangelo di San Luca (2,7).
Nell’ Incarnazione il Dio si fa uomo e si farà pane per ogni uomo.
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