A due anni dalle elezioni di Elly Schlein nelle “primarie”, nel Pd si è aperto un duro conflitto tra riformisti e radicali. Sono scesi in campo per un cambio di linea politica due big: Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo, a Milano all’Assemblea dei cattolici democratici; e Paolo Gentiloni, già numero due della Margherita, ad Orvieto, al convegno dei Liberal. Comune il giudizio: un Pd tutto a sinistra non può sconfiggere il destra-centro, nonostante i limiti del governo Meloni; è necessario il recupero dell’area moderata di centro. Prodi, mettendo il dito nella piaga, ha ricordato che in quindici anni il Pd ha dimezzato i suoi voti; in altre occasioni l’ex premier aveva citato le sue due vittorie contro Berlusconi, mentre Achille Occhetto aveva perso nel ‘94, anche per la rottura con i Popolari di Martinazzoli. A sua volta Gentiloni ha rilevato che non basta al Pd lo scontro quotidiano, bipolare, con la Meloni: occorre un programma alternativo, credibile di governo, con alleanze non aleatorie.

Il fondatore dell’Ulivo ha sconsigliato la nascita di un “partito dei cattolici”, ma ha sottolineato il carattere essenziale della presenza in politica di esponenti di matrice culturale e cattolica, facendo indiretto riferimento alle denunce di autorevoli personalità (da Bodrato alla Bindi) sul rischio di emarginazione delle radici popolari sturziane.

A Milano il professor Ernesto Maria Ruffini, indicato dai media come possibile “federatore” del centro-centrosinistra, ha indicato due questioni essenziali: il recupero del forte astensionismo elettorale, in linea con il recente appello del Presidente Mattarella (secondo i sondaggi il non-voto è oggi al 50%, con una punta del 58% tra i cattolici praticanti); e il superamento del bipolarismo, con la formazione di una maggioranza analoga al Parlamento Europeo, dove la prima elezione di Ursula von der Leyen ottenne il concorso di Popolari (Merkel), Liberali, Socialisti, Pentastellati; in altre parole Ruffini rilancia lo schieramento unitario che portò, regista Mattarella, al governo Draghi. Un rovesciamento del bipolarismo Meloni-Schlein, che da un lato lascia fuori le destre di FdI e Lega, dall’altro AVS (Alleanza Verdi-Sinistra).

Per ora la segretaria Schlein non ha risposto alle richieste emerse da Milano ed Orvieto; ma Ruffini ha già preannunciato per l’autunno un manifesto programmatico riformista. In altre parole il confronto del Pd è appena agli inizi.

Oltre che dalle voci di Milano ed Orvieto il silenzio è stato rotto da altri protagonisti: il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha auspicato la nascita di un “terzo polo”, laico, alleato dei Dem ma ancorato al centro; contemporaneamente ha contestato la scelta Meloni-Schlein contro il terzo mandato di Governatori e Sindaci. Su questo tema perplessità sono state avanzate da più parti, dal riformista Guerini all’ex segretario Bersani.

Sul “terzo mandato” si segnalano acque molto agitate nel Carroccio, anche con minacce di crisi di governo; sconfessando la linea nazionale di Salvini, il direttivo della Lega ha fatto muro sulla difesa di una nuova candidatura del governatore veneto Zaia, chiedendo a Salvini (già in difficoltà nella gestione del Ministero dei Trasporti) di aprire nuove trattative con la Meloni, mettendo sul tavolo la minacciosa ipotesi di una lista autonoma del Carroccio alle Regionali di fine anno, ciò che rappresenterebbe una inedita rottura del fronte del destra-centro. In ogni caso la Lega ha “svoltato”, rimettendo al primo posto la difesa delle Regioni del Nord, in primis Veneto, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia.

Altro tema delicato in maggioranza è la politica estera: mentre la Meloni e Salvini vanno a gara nel sostegno a Trump e Musk, il Ministro degli Esteri (nonché segretario forzista) Tajani è andato a Berlino per condividere con i leader della CDU (Merz, Weber) il pieno sostegno alla leadership dei cristiano-democratici nelle prossime elezioni politiche; netto il rifiuto ad ogni alleanza con i filo-nazisti dell’AfD, in linea con le scelte del Partito popolare europeo. In concreto fermo “no” di Tajani alla posizione di Musk, in aperto dissenso con gli altri partiti della coalizione di governo.

C’è un’obiettiva convergenza tra il “no” milanese alle destre europee da parte di Ruffini e la riconfermata collocazione pro-Ursula von der Leyen di Forza Italia: entrambi gli interventi superano lo schema bipolare e riaffermano la priorità del disegno europeo. Ma questo è stato anche il leit-motiv degli interventi di Romano Prodi e Paolo Gentiloni, due leader consapevoli del primato di Bruxelles, da difendere, nel nuovo scacchiere internazionale.