Negli ultimi anni, il viaggio si è imposto come un imperativo culturale per le nuove generazioni. I viaggi di gruppo, in particolare, stanno conoscendo un boom: esperienze condivise, itinerari preconfezionati e la rassicurante certezza di non essere mai soli. Come raccontato in un recente articolo de “Il Mattino”, questa tendenza rivela una crescente sete di scoperta tra i giovani, desiderosi di riempire la propria vita di esperienze, collezionando mete, fotografie e momenti da condividere sui social.
Ma che cosa si cela dietro questa corsa al viaggio? Molte volte nulla, tranne un sano spirito di conoscenza e spensieratezza, un innocente desiderio di varcare i propri confini, rivalsa o fascino dell’ignoto, riscoperta o malinconia di luoghi cari.
Se da un lato è innegabile il valore dell’apertura culturale e della crescita che esso può portare, dall’altro è lecito domandarsi: è sempre autentico desiderio di esplorare il mondo, o talvolta è una fuga da sé stessi? Siamo davvero disposti a confrontarci con ciò che troviamo dentro di noi, o preferiamo distrarci navigando su acque distese ma superficiali? Sia chiaro, nulla in contrario anche a un semplice staccare la spina dai problemi di tutti i giorni, ma a volte il desiderio è un po’ più contorto di quanto appaia.
Seppur iperconnessi, più che mai soffriamo tanto di una profonda solitudine interiore. Il viaggio diventa così una via di fuga dall’introspezione: si conosce il mondo, ma si evita accuratamente di guardarsi dentro. Per molti, il moto perpetuo è un anestetico del cuore, il tentativo di colmare un vuoto apparente che solo il silenzio potrebbe rivelare e sciogliere facendoci alzare lo sguardo al Cielo.
La volontà umana non sceglie mai il male in quanto tale: si rifugia piuttosto in un bene minore, lasciando da parte il bene maggiore. Così, il viaggiare per mettere nel freezer i nostri veri desideri più alti – che non è il caso di tutti, ma per molti è valido – non è la scelta di un male, ma di un bene minore a fronte di un bene maggiore. Ci concentriamo sulla superficiale felicità di un viaggio, e mettiamo i paraocchi nel considerare il bene maggiore: la vera felicità a cui tutti siamo chiamati.
E pure nel piano sociale, e in particolare nel mondo degli adulti, il viaggio si è sostituito al fine ultimo: viviamo per le vacanze, lavoriamo per le vacanze, contiamo quanti giorni mancano al mare. 350 giorni spesi per 15 di viaggio-vacanza. Quanto possiamo essere infelici per cadere schiavi di questo circolo vizioso?