La senatrice Liliana Segre, testimone vivente delle atrocità del Terzo Reich, si è dichiarata atterrita dallo scontro Trump-Zelensky, perché la Casa Bianca ha rovesciato la verità dei fatti, trasformando l’Ucraina da aggredita ad aggressore, assolvendo de facto la Russia.

Secondo i sondaggi la maggioranza degli italiani è sulla linea Segre-Mattarella, mentre la politica appare tiepida e incerta. La premier Meloni sta con Kiev ma contemporaneamente è alleata con Trump che ha tagliato ogni risorsa all’Ucraina, sposando le tesi di Putin; anche la Schlein è con Kiev, ma sinora non ha partecipato alle manifestazioni pro-Ucraina, forse per non rompere con l’alleato-rivale Conte, entusiasta delle “verità di Trump”.

Movimenti significativi sono invece avvenuti nel mondo dei media, in particolare nei due grandi gruppi editoriali Rizzoli-Corriere e Gedi (la Repubblica – la Stampa).
Sul quotidiano di via Solferino, espressione della “grande borghesia lombarda”, un autorevole esponente della corrente culturale di destra, Ernesto Galli della Loggia, non ha esitato ad accusare di “despotismo” Donald Trump, paragonando l’umiliazione inflitta a Zelensky con due clamorosi episodi storici: “…nello Studio Ovale è andata in scena una sorta di replica delle chiamate a rapporto da parte di Adolf Hitler nella sua villa tra le Alpi bavaresi, una volta di un cancelliere austriaco (Kunt von Schuschnigg), un’altra volta del capo di Stato ungherese Horty, per essere entrambi sottoposti a una furia di insulti e di minacce e sentirsi intimare di cedere alla volontà del Fuhrer… Trent’anni dopo sarebbe toccata più o meno la stessa sorte al leader cecoslovacco Alexander Dubcek, convocato a Mosca da Breznev nell’estate del 1968, con l’invito ad accettare senza fiatare l’occupazione del suo Paese da parte dell’Armata Rossa”.

Un altro autorevole intellettuale dell’area liberale-conservatrice, Angelo Panebianco, preoccupato della crisi dell’Europa e della debolezza dell’Italia politica, giunge ad auspicare il superamento dello scontro destra-sinistra, per dar vita ad un “governo di salvezza nazionale”, saldamente ancorato all’europeismo, secondo la tradizione liberal-democratica del “Corriere della Sera”.
Sul fronte progressista ha fatto scalpore un’intervista su “La 7” ad Ezio Mauro, per un lustro direttore de “La Stampa” e “La Repubblica”. La crisi della democrazia liberale, espressa dall’America di Trump, mette in secondo piano lo scontro classico destra-sinistra, rendendo prioritaria la difesa delle istituzioni democratiche, nate dalla Resistenza, con il rispetto della divisione dei poteri ed il primato della persona: questa la novità di Ezio Mauro.

In altre parole Corriere e Repubblica, le due corazzate dell’editoria, non sono molto lontane dal disegno perseguito in anni difficili dai Presidenti Napolitano e Mattarella, con la formazione di governi di larghe intese, saldamente legati alle istituzioni previste dalla Costituzione, fedeli alla “mission” europeista di De Gasperi, Adenauer, Schumann.

Molto diverso è il quadro attuale con un vice-premier, Salvini, che applaude chi vuole “colpire” (uso un termine rispettoso dei lettori) l’Unione Europea, umiliare uno Stato sovrano (ma la Lega non era nazionalista?), premiare un autocrate come Putin. L’altro vice-premier Tajani, si oppone in difesa di Bruxelles, la Meloni non si espone troppo per Zelensky, pensando a Trump. Ma quando potrà reggere una situazione così confusa? Anche considerando che c’è poi, non meno importante, la questione economica e sociale, alla luce dei dazi annunciati dalla Casa Bianca, in una situazione produttiva già stagnante, con l’inflazione in crescita ed i salari, con stipendi e pensioni, indeboliti.

Il quadro politico emerso dalle elezioni del settembre 2022 appare inadeguato e superato, sconvolto dal terremoto americano che in Europa guarda all’estrema destra (“l’Internazionale nera”, secondo Macron); il numero due della Casa Bianca, il super-miliardario Elon Musk, è giunto a teorizzare la fine della Nato e dell’Onu, ovvero delle più importanti organizzazioni internazionali. Resteranno solo USA, Cina e Russia?

In questo quadro il dibattito aperto dal Corriere e da Repubblica sui rischi per la democrazia liberale, sui limiti del bipolarismo, sulla tragedia delle “autocrazie”, meriterebbe di essere ripreso dalle forze politiche europeiste: non è in gioco il futuro del binomio Meloni-Schlein ma la sorte delle istituzioni democratiche, italiane ed europee.