I super-poteri di Trump preoccupano l’America (come ha scritto l’autorevole New York Times) e il mondo: dalla guerra dei dazi ai conflitti a Gaza e Ucraina il presidente americano si muove nella logica dell’uomo solo al comando, senza alcun controllo da parte del Congresso. Il presidenzialismo USA, già molto criticato, si trasforma così in una gestione autoritaria, soggetta agli sbalzi di umore e agli interessi economici dell’Inquilino della Casa Bianca. I sondaggi USA dicono che gli elettori sono in maggioranza critici, specie per i continui cambi di linea di Trump, a cominciare dall’incredibile altalena sui dazi, che vanno e vengono senza alcun criterio. Questo crea incertezza e confusione sui mercati, gli investimenti rallentano, la recessione economica mondiale è dietro l’angolo, secondo molti esperti, anche di fede repubblicana. Manca tuttavia, nel Paese che è stato un campione di libertà e democrazia, un’occasione pubblica di confronto sui grandi temi della società: tutto si gioca all’interno del litigioso “cerchio magico” del Presidente USA.

Non meno sconvolgente è la distanza tra le promesse ed i fatti in politica estera: era stata annunciata, subito dopo l’insediamento di Trump, la fine della guerra a Gaza e a Kiev ma dopo tre mesi i conflitti sono ancora più aspri, perché Trump, anziché mediare tra le parti, ha lasciato mano libera a Netanyahu e Putin. Il governo israeliano, rompendo gli accordi firmati con Biden, attacca ogni giorno Gaza (anche gli ospedali) con l’obiettivo dell’occupazione e dell’espulsione degli abitanti; lo zar del Cremlino, dopo aver rifiutato la tregua proposta dagli USA e accettata da Kiev, continua la distruzione dell’Ucraina: persino nella domenica delle Palme ha colpito a Sumy una chiesta battista, con decine di vittime.

Trump ha difeso Putin, prima parlando di errore, poi attribuendo la responsabilità della guerra a Zelensky e Biden, cancellando ogni responsabilità dell’aggressore russo e confermando uno stretto rapporto con Mosca, come se un nuovo Patto di Yalta fosse stato firmato tra gli USA e il Cremlino: addirittura la Casa Bianca ha rifiutato la firma di un documento di condanna della strage da parte del G7, annullando ottant’anni di solidarietà occidentale. In concreto “l’uomo solo al comando” cambia lo scenario mondiale, senza discussioni.

Due valutazioni etico-politiche emergono: il criterio nazionalista del “Prima l’America” cancella ogni obiettivo di giustizia e solidarietà (i vescovi statunitensi hanno molto criticato l’abbandono degli aiuti ai Paesi in difficoltà), legittima ogni violazione del diritto internazionale (i due Stati israeliano e palestinese in Medio Oriente, il diritto ad esistere autonomamente dell’Ucraina), apre la strada ad altri conflitti “nazionalisti”: la lotta politica si caratterizza per la caccia al diverso (persino ai migranti) e per “l’odio” verso l’avversario (l’invasione di Capitol Hill dopo la vittoria di Biden, definito “corrotto”).

Per l’America si preannunciano tempi difficili, come fa presagire una forte dichiarazione di Barak Obama e la rivolta di diverse università americane. Per l’Europa e l’Italia s’impone la consapevolezza della fine di un ciclo storico, fondato sul sostegno degli Stati Uniti, a cominciare dalla lotta contro il nazifascismo.

Il processo di costruzione dell’Unione Europea, avviato da tre statisti di ispirazione cristiana come Adenauer, De Gasperi, Schumann, diviene ogni giorno più urgente, superando le spinte nazionaliste e gli interessi settoriali. Il governo di Bruxelles si può e si deve migliorare, ma senza l’UE non si va da nessuna parte.

In un contesto così drammatico e confuso la presidente Meloni sta per incontrare l’inquilino della Casa Bianca, che si è distinto anche con espressioni volgari verso i suoi ospiti. La Meloni è di fronte ad una scelta delicata tra i suoi due ruoli: leader della Destra europea, alleata di Trump, presidente del Consiglio di un’Italia fondatrice dell’Unione europea, figlia della vittoria della Resistenza contro la dittatura, sorretta da una Costituzione democratica, liberale, sociale. I margini di un’intesa sono stretti perché i valori e la dignità dell’Italia (e dell’Europa) non sono in discussione e non hanno un prezzo di mercato.