In condizioni normali, la crisi sugli indirizzi della politica estera scoppiata tra i due vice-premier, Salvini e Tajani, condurrebbe alle dimissioni dell’Esecutivo; questo non avviene per l’assenza di un’alternativa credibile. Questo giudizio lapidario, espresso dall’ex premier Romano Prodi e raccolto da molti media, fotografa lo scontro durissimo tra la Lega e Forza Italia: tra una linea sovranista e trumpiana da un lato e l’ancoraggio europeista dei Popolari di von der Leyen dall’altro. L’Europa delle patrie contro l’Europa federalista.
Salvini, tuffato a capofitto nella competizione a destra con la Meloni, ha ottenuto un colloquio telefonico con il vice di Trump, Vance, sostenitore in Europa dell’Alleanza nera comprendente i filo-nazisti tedeschi, propugnatore su Gaza del progetto Trump-Netanyahu di espulsione di due milioni di palestinesi, difensore di Putin sulle motivazioni del conflitto con l’Ucraina. Lo stesso Vance che, in un’intercettazione, finita per errore ad un giornalista, non ha nascosto il suo “odio” per il disegno europeo.
Alle proteste di Tajani per una linea che offusca quella del Ministero degli Esteri, il Carroccio ha risposto con altri attacchi polemici, irridendo il leader di Forza Italia per la sua scelta europeista che lo allontana dalla nuova Presidenza americana. Paradossalmente la Lega delle Autonomie subordina la politica italiana alle scelte della nuova Casa Bianca.
Sullo scontro Salvini-Tajani la Meloni, pur irritata dal protagonismo del ministro dei Trasporti, non ha assunto una posizione pubblica: da un lato per non “bruciare” la sua ricerca di un incontro con Trump, dall’altro per non rompere clamorosamente con Bruxelles. Ma l’equilibrio tra USA e UE diviene di giorno in giorno più difficile, su ogni scenario dello scacchiere mondiale: all’Ucraina (ove gli inviati di Trump “elogiano” l’aggressore russo, definito “non cattivo” in una guerra che ha già causato un milione tra morti e feriti) alla Palestina, ove la linea USA sta smantellando la tesi dei “due popoli-due Stati”; c’è poi la questione dei dazi, su cui la premier chiede all’UE moderazione. In altre parole la Meloni, con più attenzione, tiene il punto per l’alleanza con Trump mentre il Ministro degli Esteri Tajani è sostanzialmente isolato nella sua posizione europeista, quindi politicamente indifeso dagli attacchi scomposti dell’alleato leghista.
Sul versante opposto del centro-sinistra, i Pentastellati compiono verso il Pd una contestazione simile a quella della Lega verso Tajani: impossibile non notare dapprima il giudizio positivo di Conte sulla nuova linea di Trump verso l’Ucraina (filo-russa), quindi gli attacchi del “Fatto quotidiano” (vicino agli ex grillini) al presidente Mattarella, per finire con la presa di distanza sul Manifesto di Ventotene, difeso dai Dem per la sua visione europeista, in un’epoca – il 1941 – di affermazione bellica dell’asse Hitler-Mussolini. Un contesto storico che appare sfuggito alla premier Giorgia Meloni, che ha attaccato Spinelli (profeta dell’Europa unita) facendosi portavoce della destra post-fascista, ignorando il suo ruolo istituzionale di presidente di tutto il Paese.
La Schlein, nella sua ricerca del “campo largo”, da Calenda a Bonelli, non ha ribattuto agli attacchi dei post-grillini, deludendo il suo “sponsor” Romano Prodi, che non ha esitato a contestarle uno scarso europeismo, sia nelle scelte a Strasburgo sia nel voto alle Camere. Come Tajani anche Prodi, ex presidente della UE, si vede tuttavia ai margini del quadro politico, perché AVS, Pentastellati e metà del Pd europeo, non hanno approvato la linea von der Leyen. Il rilancio di Bruxelles – come ha richiesto anche Mario Draghi – davvero non appare nei programmi dell’attuale Parlamento italiano.
In questa crisi bipolare sulla politica estera fa eccezione, ancora una volta, il Quirinale con due richiami essenziali: la validità della scelta europeista compiuta nel dopoguerra, da tre statisti di ispirazione cristiana come Adenauer, De Gasperi, Schumann (costruttori di ottant’anni di pace nel vecchio continente); e l’urgenza di una forte risposta europea sui dazi minacciati da Trump, perché la chiusura del libero mercato produce storicamente nuovi conflitti, come l’ottocento ci ha insegnato. Parole chiare e forti, senza ambiguità.