Alessandra Scalero morì a 51 anni all’Ospedale di Ivrea il 27 luglio del 1944 per i postumi di un intervento chirurgico. Viveva sola al castello di Montestrutto, separata dalla sua famiglia rimasta a Roma in un’Italia spaccata in due dalla guerra. Fu una importante traduttrice della letteratura europea e nord-americana, insieme alla sorella Liliana (nella foto di copertina), musicologa. Erano due delle tre figlie del compositore Rosario Scalero. Alessandra nacque a Torino il 19 ottobre 1893, primogenita di Clementina Delgrosso, proveniente da una famiglia alto borghese di medici e avvocati originaria di Chivasso che possedeva molte proprietà a Torino e Roma e una casa a Mazzè ancora oggi esistente, e di Rosario Scalero, musicista di Moncalieri.
I due si conobbero in una scuola di musica di Torino dove Clementina, come tutte le ragazze di buona famiglia, prendeva lezioni di pianoforte. Si innamorarono e si sposarono giovanissimi, nel 1892. Alessandra nacque l’anno successivo e due anni dopo Liliana e la famiglia si trasferì a Londra, dove Rosario aveva trovato lavoro come insegnante di violino e dove restarono per un anno. A Londra Rosario Scalero raffinò il proprio animo artistico frequentando pittori preraffaeliti e impressionisti inglesi, costruendo così dentro di sé quell’animo cosmopolita che lo portò a viaggiare e spostarsi per tutta la vita, e che seppe trasmettere alle figlie.
Nel 1896 tornarono a Torino per un paio d’anni per poi spostarsi a Lione, e da qui a Vienna dove il padre era stato assunto come violinista al Wiener Hofoper. Nel 1901 nacque anche la terza figlia, Maria Teresa, e la famiglia si ricongiunse a Vienna con l’amico di Rosario, il musicista Leone Sinigallia, ma la piccola restò a Torino con la nonna mentre Alessandra e Liliana valicarono le Alpi nel 1902. La città restò infatti sempre nel cuore delle due ragazze; qui impararono il tedesco, che affiora a più riprese anche nella loro corrispondenza e che Liliana definì “una nostra seconda lingua, tanto che la parlavamo quando eravamo sole, io e mia sorella Alessandra, disapprovate dai membri anziani della famiglia”.
Le giovani Scalero frequentarono la scuola della Novaragasse fino al 1907, quando lasciarono definitivamente Vienna per trasferirsi a Roma. Rosario infatti aveva ottenuto la cattedra di contrappunto al Conservatorio di Santa Cecilia. Dopo l’esperienza come crocerossina della Red Cross Americana negli anni della Grande Guerra, Alessandra raggiunse il padre, Liliana e Maria Teresa che nel frattempo era sbarcato in America, chiamato ad insegnare all’Istituto Curtis di Philadelpia dove ebbe tra gli allievi Samuel Barber, Nino Rota e Giancarlo Menotti.
L’esordio nel mondo della traduzione avvenne per Alessandra nuovamente in Italia frequentando come costumista gli ambienti del teatro d’avanguardia di Anton Giulio Bragaglia e gli artisti e intellettuali che vi circolavano. Iniziò a tradurre per il teatro testi di Eugene O’Neill, poi entro alla “Modernissima” fondata a Milano nel 1924. Liliana intanto frequentava Adriano Tilgher a Roma perché non era decollata la sua carriera musicale ma il fitto carteggio tra le due sorelle, conservato per volere degli eredi presso la Biblioteca Civica di Mazzè, rappresenta oggi un prezioso spaccato della vita intellettuale italiana di quei tempi. Intanto il padre compose, su richiesta di Mary Louise Curtis Bok, una singolare composizione per carillon che gli fruttò un lauto compenso, tanto che volendo rientrare in Italia, lo portò ad acquistare il castello di Montestrutto il 30 maggio 1930.
Alessandra, fortemente attratta dal teatro newyorchese, dava di fatto le prime notizie del teatro contemporaneo d’oltreoceano. Le sue recensioni apparvero sulla rivista di Alessandro Blasetti, “Lo Spettacolo d’Italia” in tre numeri del 1928. A Milano si affiancò a Elio Vittorini per mettere in piedi la collana “Medusa” di Mondadori, una svolta editoriale verso la traduzione degli scrittori contemporanei stranieri malgrado la censura e l’autarchia del regime fascista. Alessandra fu una traduttrice moderna, che si occupava di avere i diritti di traduzione direttamente dagli autori e il suo lavoro editoriale ebbe due direttrici: la compilazione dei “pareri” preventivi alla pubblicazione, a volte vere e proprie proposte, e il suo lavoro di traduzione per i libri da lei commentati o comunque commentati da altri di un nutrito gruppo di lettori-traduttori-scrittori.
Cesare Pavese definì il decennio degli Anni Trenta del Novecento, il “decennio delle traduzioni”, quando il catalogo della Mondadori si distingueva per il domino pressoché incontrastato degli autori italiani, relegando gli autori stranieri soltanto nella traduzione dei classici. Con gli Anni Trenta av-venne la svolta sostanziale della politica editoriale sancendo un altro successo per qualità e quantità: si prese a tradurre gli autori stranieri contemporanei. La struttura editoriale che selezionava i titoli stranieri si avvalse in questa fase di un gruppo piuttosto eterogeneo di specialisti che non di rado, se il testo era approvato, ne curavano la traduzione italiana.
Il coordinamento per le principali collane (“Romanzi della Palma”, “Medusa”, “Omnibus”) fu affidato a Enrico Piceni, che rispondeva direttamente al condirettore editoriale Luigi Rusca e al consigliere delegato Arnoldo Mondadori: le iniziali in lapis di questi nomi compaiono insieme a commenti vari sui pareri quasi sempre dattiloscritti. Altre figure di spicco erano la germanista Lavinia Mazzucchetti e il poliglotta Giacomo Prampolini, che seguiva anche la letteratura fiamminga, olandese e scandinava, nonché un nutrito gruppo di traduttori e traduttrici che, allentati i precedenti rapporti di collaborazione con altri editori di area milanese, potevano ora legarsi a Monda-dori, ricavandone continuità di lavoro e significative ricadute sulla loro reputazione. I risultati di un progetto culturale di così ampio respiro appaiono oggi di straordinario rilievo: l’”istituzione Mondadori”, come è stata definita da Ferretti, costruisce nel corso degli anni Trenta il più ampio catalogo di narrativa straniera del nostro paese, favorendo la ricezione di autori come Virginia Woolf, Thomas Mann, Aldous Huxley, André Maurois, André Gide, John Dos Passos, Francis Scott Fitzgerald, Sinclair Lewis, Joseph Roth. Le prime traduzioni pubblicate di Alessandra, risalgono al biennio 1930-31, si tratta di due romanzi, rispettivamente Ritorno ad Harlem, di Claude McKay, tradotto dall’inglese e apparso per i tipi di Modernissima di Milano e, tradotto dal tedesco, Il caso Mauritius, di Jakob Wassermann.
Nel 1966 erano apparse per l’editore Einaudi, nel volume che raccoglie le lettere di Cesare Pavese, un breve ma significativo scambio epistolare: il 27 aprile del 1932 Ales-sandra aveva cercato Cesare Pavese presso la redazione della rivista “La Cultura” di cui Pavese ne era direttore, ma solo nominalmente. Per questa ragione la lettera giunse nelle mani di Pavese quasi un mese dopo.
Alessandra aveva sentito la voce che indicava lui come traduttore del capolavoro di Melville, Moby Dick. Se ciò corrispondeva al vero, lei, che si era impegnata con un editore per la traduzione della medesima opera, avrebbe volentieri rinunciato, “adoperandosi anzi per l’eventuale collocazione del lavoro di Pavese”.
Cesare Pavese ri-spondeva da Torino il 22 maggio successivo: “Gentile Signora, Ricevo la sua lettera con quasi trenta giorni di ritardo, per i buoni uffici della ‘Cultura’. Comun-que non c’è da pigliarsela, perché anche se l’avessi avuta subito, non avrei potuto far diverso: il libro è stato collocato e composto fin da marzo ed è attualmente pronto – uscirà tra qualche giorno. Spero che Lei non avrà già intrapreso la fatica per trovarsi ora a metà colla strada tagliata. Mi dispiacerebbe, non perché sia impossibile far di meglio – specialmente da parte Sua – ma per l’involontaria concorrenza. Ad ogni modo resta di Melville ancora molto da fare – per lo meno Typee e Omoo e White Jacket – dei quali il primo è stato annunciato per l’anno scorso dall’editore Formica di Torino e poi non s’è visto. L’Italia è ora tutta attraversata da velleità marinare e polinesiane – gusti ispirati credo dal cinematografo – e Melville è tutto up to date. Ricordo di Lei l’ottima versione di Back to Harlem: nessuno meglio di Lei potrebbe darci un buon Typee o Omoo. Dica a quei signori che volevano fare Moby Dick come stanno le cose e creda che sarò lieto di ricevere da lei ancora qualche riga sulla faccenda. Suo Cesare Pavese”.
Negli archivi storici della Mondadori ci sono 56 pareri di Alessandra Scalero. Della prestigiosa “Medusa” Alessandra Scalero divenne un pilastro: in undici anni vi comparvero ben venti titoli tradotti da lei, sia dall’inglese che dal tedesco, tra cui best e long seller come Orlando di Virginia Woolf, Ogni passione spenta di Vita Sackville-West, Le avventure del capitano Hornblower di Forester, La prima moglie di Daphne Du Maurier.