Lo scorso numero vi ho parlato di Marc Augé e molti mi hanno chiesto lumi sul “non luogo”, termine introdotto dall’antropologo francese nel 1992. Dunque corro ai ripari. Il neologismo “non luogo” (o “non luogo”, entrambi modellati sul francese “non-lieu”) definisce due concetti complementari ma distinti: da una parte quegli spazi costruiti per un fine ben specifico (solitamente di trasporto, transito, commercio, tempo libero e svago) e dall’altra il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quegli stessi spazi. In questi “non luoghi” è raro socializzare tra umani: non vi abita nessuno, si va per un esigenza immediata legata al presente. Pensiamo ai bancomat: sono tutti simili in Europa e si fanno le stesse operazioni e difficilmente i nonni si incontrano per far giocare i nipotini socializzando. Stazioni e centri commerciali sono dunque a pieno titolo dei “non luoghi”.
L’altro giorno, migliorando la mia caviglia, sono andato a piedi nel vicino quartiere di Bellavista a fare delle compere nel locale piccolo centro commerciale. Sorge nella piazzetta di questo centro che sembra molto analogo ad Auberville nella periferia di Parigi. Poiché piove, trovo comodo il portico che protegge i tre lati della piazza (il quarto è delimitato dalla strada). I mattoni rossi e il verde circostante sono i due colori preminenti. Ma entrando nel locale inciampo in un piccolo cumulo di piastrelle che si sono staccate dal pavimento. Torna la fitta alla caviglia che mi aveva fatto affrontare gli ascensori del Mostricentro. Faccio la spesa e torno claudicante verso casa. Fa freddo. Ho dimenticato l’ombrello e ovviamente inizia a piovere sempre più forte… Come un miraggio scorgo un “non luogo” molto utile: una stazione dei bus deserta che mi offre riparo sotto il tetto. Poi mi sposto verso il lucernario e qui piove a dirotto dentro! Vorrei tanto mandare una mail a Parigi a Marc Augé per dirgli che a Ivrea c’è un “non luogo” con tanto di “non tetto”.
Fabrizio Dassano