IVREA – La Quaresima avanza a grandi passi verso la Pasqua e rimane caratterizzata anche dallo spirito di fraternità che ci fa pensare e dirigere la nostra attenzione verso Paesi lontani e notoriamente con meno possibilità di crescita e di sviluppo che da noi. La Quaresima di fraternità ci fa pensare a tante persone in seria difficoltà, se non addirittura nell’impossibilità, di farsi curare, di lavorare, di andare a scuola, di vivere in maniera dignitosa la propria esistenza.
Proponiamo quindi una chiacchierata con don Josè Bergesio per capire meglio l’impegno assunto per nuovi progetti nella missione in Guinea Bissau. Insieme a don Gianni Giachino e Felice Oberto, nel mese di febbraio don Josè è andato a visitare la cittadina di Tite dove era già stato missionario dal 2005 al 2013. A Tite i tre diocesani di Ivrea sono stati accolti con molto calore dalla comunità e dal parroco don Admir che, con un viceparroco e due laici brasiliani, guida attualmente quella parrocchia di circa 15mila abitanti.
Don Josè perché ha scelto di tornare in Guinea Bissau?
Perché è tra i Paesi più poveri al mondo e necessita davvero di tutto, sia sul piano sociale che religioso.
Che cosa ha trovato di cambiato dopo 10 anni?
Quasi tutto… ma in peggio: dalle strade diventate impraticabili al cattivo funzionamento delle strutture sanitarie e di quelle educative e scolastiche. L’unico “progresso” appariscente è l’espansione dei mussulmani. E poi i segni della presenza di tanti “petrodollari” degli Stati Arabi molto interessati alla “conquista” dell’Africa.
Possiamo ancora fare qualcosa di utile per la missione di Tite?
Devo riconoscere che, se è vero che nei villaggi il lavoro pastorale ha perso vigore, a Tite la dinamicità di don Admir ha fatto sorgere interessanti realtà nuove. In una situazione del genere sono molteplici gli aiuti che possiamo dare in tutte le direzioni.
Quali aiuti, per quali bisogni?
Con i responsabili della parrocchia abbiamo visitato un po’ tutte le realtà e discusso, assieme ai tanti collaboratori, gli interventi più urgenti da fare e che avrebbero bisogno di un nostro sostegno, soprattutto economico. Bi-sogna portare a termine la costruzione della scuola elementare; quest’anno ci sono già gli alunni di due classi che attualmente fanno lezione nella chiesa, e il prossimo anno ce ne saranno tre, con l’arrivo dei bambini che concluderanno l’asilo. C’è da aumentare le sale del Liceo (attualmente con 600 alunni, più un altro centinaio in lista di attesa per entrarvi). Bisogna sostenere le diverse iniziative agricole comunitarie che sono fonte di piccolo reddito diffuso e, se sviluppate bene, potranno diventare esempi di autonomia familiare. Necessitano di ristrutturazione i “pluriuso”, costruiti ai miei tempi nei vari villaggi, che hanno una doppia finalità: luoghi protetti per attività sociali, didattiche, ludiche e anche religiose, dal culto alla catechesi.
È poi ovvio che non rispondiamo alla nostra missione “solo” edificando: abbiamo constatato quanto sia pressante incrementare l’evangelizzazione nei tantissimi villaggi sparpagliati in un territorio molto vasto ed impervio che per essere raggiunti richiedono anche quelli delle risorse economiche.
Su quali persone pensa di fare affidamento per queste attività sociali e pastorali?
Possiamo fiduciosamente contare sul parroco locale don Admir e sui suoi numerosi collaboratori, che dimostrano una grande buona volontà assieme ad una plausibile competenza.
Entro quanto tempo pensa di portare a conclusione i progetti?
Alcuni progetti, come la scuola, dovranno essere conclusi prima dell’arrivo delle piogge (maggio-giugno); altri, meno urgenti, dipenderanno dalle nostre possibilità economiche e dalla capacità di collaborare insieme.
Come coinvolgere le persone e smuovere le coscienze qui da noi attorno a queste problematiche e bisogni?
È importante innanzitutto far sapere di queste realtà lontane dalla nostra conoscenza e di cui quasi mai si parla o si sente parlare dalla grande informazione. Come Centro Missionario dovremo spiegare le ragioni di questo impegno e delle proposte che l’accompagnano, dovremo far giungere più informazioni possibili con i vari mezzi a disposizione, per suscitare interesse e curiosità, motivare alla solidarietà e all’amore evangelico che conducano a loro volta ad un crescente inderogabile “spirito missionario” nella nostra diocesi. Contiamo sulla sensibilità dei parroci e di tutte le persone di buona volontà.
Come sarebbe bello che i giovani ritornassero ad amare la vita missionaria…
I giovani hanno tendenzialmente molta sensibilità e disponibilità quando si tratta di costruire un mondo migliore. Debbono però sapere di più e meglio che cosa facciamo, il perché e a che cosa serve, i valori che guidano l’impegno missionario che è evangelizzazione ma anche sviluppo dei popoli. I giovani sono generosi se implicati, se hanno chiari gli obiettivi di un impegno richiesto e sentono forte l’appartenenza ad un progetto dedicato a chi ne ha bisogno. I giovani amano la trasparenza delle azioni in cui si chiede loro di essere implicati ed hanno bisogno di un linguaggio nuovo e adatto ai tempi per sentirsi in sintonia con noi. Sono buone quelle iniziative, già praticate altrove, di effettuare dei “viaggi”, ben preparati, di conoscenza ma anche di aiuto concreto, dove sporcarsi le mani, dove venire a stretto contatto con realtà di bisogno. Ecco, andare in missione per aiutare e – forse anche di più – per imparare e per assorbire e riportare a casa valori importanti per la nostra società e la nostra Chiesa.
c.m.z.