(Graziella Cortese)
“Per aspera ad astra” è un antico motto latino: tradotto, significa che superando le asperità si può arrivare sino alle stelle. Dopo i film e i documentari in onore dell’allunaggio del 1969, gli sceneggiatori di questa pellicola americana hanno riportato l’attenzione sulle missioni spaziali; James Gray, il regista già autore di “Civiltà perduta”, aveva in mente di realizzare le sequenze nello spazio nel modo più realistico possibile, e per questo ha richiesto l’aiuto della Nasa e del Jet Propulsion Laboratory.
Siamo nel futuro, a pochi anni dal nostro tempo; il pianeta Terra è in difficoltà e ha quasi esaurito le sue risorse: circa 30 anni prima era partita la missione denominata Progetto Lima, alla ricerca di forme di vita intelligenti, anche per chiedere loro un aiuto: la spedizione era capitanata da Clifford McBride.
Ma l’astronave insieme all’equipaggio erano scomparsi nel nulla. Oggi, con prospettive e problemi diversi, si muove il maggiore Roy McBride, figlio di Clifford e astronauta anch’egli. Roy vive nell’ossessione di ritrovare notizie del padre dallo spazio più profondo e accetta di buon grado una nuova missione spaziale: da tempo il sistema solare viene colpito da strani picchi di energia (sorta di tempeste energetiche non meglio definite, che paiono provenire dall’orbita di Nettuno) e McBride viene inviato alla base sotterranea sul pianeta Marte, un luogo che sembra resistere immune ai suddetti “picchi”.
A questo punto la storia si dipana con un’attenzione maggiormente rivolta ai sentimenti dei personaggi e ai loro dissidi interiori: Roy conosce Helen, direttrice della struttura costruita su Marte e figlia di membri dell’equipaggio del Progetto Lima. E il protagonista, interpretato da Brad Pitt, viene sconvolto da emozioni difficili da governare.
Un risvolto molto umano, nonostante gli antichi latini del motto iniziale sostenessero che solo gli eroi possono arrivare “ad astra”, e quindi all’Olimpo degli Dei.