(Cristina Terribili)
ROMA – La curiosità per il proprio albero genealogico, cercare le radici delle proprie origini, la parentela con altre persone sparse nel mondo, non è solo per chi è migrato decenni fa; molte persone si dilettano a tenere nota di quali sono state le “evoluzioni” dei diversi rami familiari nel corso del tempo.
Sono nate anche agenzie particolarmente specializzate che fanno ricerche partendo dai dati forniti dagli interessati, che scovano corrispondenze negli alberi di altri utenti o in registri pubblici del mondo. Se per qualcuno è un passatempo, un modo anche simpatico per tentare di riprendere contatti con anziani parenti, raccogliere foto e date, per altri è una vera e propria necessità. Ricercare la propria identità serve a colmare le lacune della conoscenza di sé. L’appartenenza ad un gruppo sociale, ad una famiglia, rappresenta per ogni essere umano un aspetto fondamentale della propria vita, legandosi a bisogni imprescindibili di affiliazione, sostegno e sicurezza.
L’identità personale è influenzata oltremodo da un’identità sociale: il gruppo di appartenenza contribuisce positivamente o negativamente all’identità personale e forse questo spiega perché, talvolta, in alcune famiglie si teme che qualcuno scavi negli “affari di famiglia” preferendo rimanere con le informazioni che si hanno senza andare troppo oltre. Gli studi sull’identità sociale mettono in evidenza come, quando si sente minacciata la propria identità personale a causa del gruppo di appartenenza, si usino strategie cognitive e comportamentali per tentare di migliorare la propria identità.
La scelta della strategia di gestione dell’identità dipende dal modo in cui una persona valuta, da un punto di vista affettivo, percettivo e comportamentale, l’appartenenza ad un gruppo; dal livello di identificazione con il gruppo e dalla percezione di poter alterare le relazioni di status. Dipende anche dalle rappresentazioni che i membri si fanno della struttura sociale che, a sua volta, dipende da tre variabili socio-strutturali: stabilità del sistema sociale (credenza che la stratificazione sociale esistente possa cambiare o meno), legittimità della stratificazione sociale (percezione che le differenze di status tra i gruppi siano determinate da criteri più o meno legittimi), permeabilità dei confini fra gruppi (possibilità o meno di poter lasciare il proprio gruppo per accedere a un altro).
È tra questi elementi teorici che si nascondono gli scheletri negli armadi, facendo si che ci sia chi non ama sapere o preferisca tenere ben salda la presenza di alcuni avi al posto di altri. Qualora venissero alla luce quei personaggi bislacchi che, se non fanno sorridere, potrebbero generare un senso di vergogna o il timore di essere definiti in modo differente (in termini di immagine di sé) da quanto costruito faticosamente. Ecco che quello stesso senso di sicurezza che ci offre l’appartenere ad un gruppo diventa una lama a doppio taglio per chi, invece, perderebbe il modo in cui ha descritto nel tempo se stesso ed il proprio romanzo familiare.
Psicologia e Diritto non sempre sono sulla stessa linea nell’accogliere i desideri o le motivazioni di chi cerca di conoscere le proprie origini. Per la tutela ed il rispetto della posizione di ogni attore coinvolto si dovrebbe essere sempre estremamente cauti, trovando quell’equilibrio impossibile tra l’accoglienza di un dolore e il desiderio di protezione.
Proprio per la cautela ed il rispetto che ci sembra doveroso nel trattare gli “affari di famiglia” ci si sorprende di quanti siano disposti invece a trarre profitti da vicende umane ed esistenziali spesso, se non sempre, dolorose, come ha dimostrato in questi giorni la gestione della vicenda di Denise Pipitone-Olesya Rostova da parte del primo canale della televisione russa.