(Graziella Cortese)
I fratelli D’Innocenzo hanno inseguito fin da ragazzini il sogno del cinema, nel senso più ampio: hanno immaginato di vivere le avventure nei classici americani e poi, più concretamente, si sono ispirati a Sorrentino, a Garrone, a Roman Polanski e il cinema lo hanno “fatto” davvero.
Il titolo nasce da una fusione, l’America sognata di cui si narrava prima e la città di Latina, che nasce nell’area dell’Agro Pontino bonificata al tempo del fascismo. Le strade sono linee d’asfalto grigio lungo la pianura, sembra di essere in Florida, l’atmosfera è tersa, la cinepresa inquadra palme e un dinosauro in plastica.
Massimo Sisti abita qui, all’interno di una lussuosa villa con piscina: di professione è dentista, medico conosciuto e stimato che ha modi educati e professionali con tutti. La sua si potrebbe definire una vita “perfetta” (se questa esistesse), ha una moglie e due figlie: egli ama le sue donne che paiono ninfe eteree e pensierose e vivono al suo cospetto.
La quiete del quadro familiare viene bruscamente interrotta un giorno in cui Massimo, dopo essere sceso in cantina, scopre una ragazzina legata a una tubatura, spaventata e dolorante, con un laccio alla bocca che le impedisce di urlare. Per l’uomo inizia una vera e propria discesa agli inferi nel tentativo di scoprire chi ha reso prigioniera la ragazza; i sospetti prima si rivolgono all’amico Simone, poi al misterioso fidanzato della figlia maggiore, al vecchio padre.
Le atmosfere ricordano “Il sacrificio del cervo sacro” di Lanthimos, e “Psyco” del maestro del brivido Hitchcock: il tema del doppio torna prepotente (del resto i registi sono due gemelli), così come l’analisi interiore dei personaggi che scrutano nell’abisso delle proprie ossessioni. Elio Germano è il volto di chi affronta un incubo declinato al maschile e si comporta come “una mosca imprigionata all’interno di un bicchiere”.