Lo spunto per il pezzo di oggi ce lo offre un post su Facebook, ripreso da alcuni giornali, in cui una mamma si rende disponibile a offrire un compenso a dei giovani che facciano compagnia al figlio disabile in qualità di amici.
La storia viene dagli Stati Uniti. La mamma di Christian si rende conto che terminata la scuola dell’obbligo, il figlio, affetto dalla sindrome di down, non ha più reti sociali e passa la maggior parte del suo tempo libero da solo. Non sapendo chi e come coinvolgere, sotto consiglio di un amico di famiglia, accetta di pubblicare un post. Riceve tantissimi messaggi di risposta di chi si rende disponibile senza alcun compenso, e ora suo figlio ha diverse persone che si alternano e con le quali può fare delle attività ricreative.
Dalla rete emergono talvolta storie di questo tipo. Non ci chiediamo se si tratti di storie non vere, ma sicuramente danno voce ad un bisogno che tanti operatori del sociale riscontrano. La solitudine è ciò che vivono molte persone, soprattutto le più fragili che escono da contesti sociali e mancano di una rete di relazioni costruite nel tempo.
All’approssimarsi della fine dell’anno scolastico dobbiamo fare attenzione a chi rimane più solo, e le nostre città in questo senso rischiano di presentare qualche criticità. I servizi durante l’estate sono meno presenti, molte attività si fermano, vengono garantite attività assistenziali a domicilio con orari ridotti… e chi vive una condizione di multiproblematicità, rischia di diventare invisibile, di non esistere più, almeno fino all’autunno che verrà.
Il volontariato, la disponibilità e il buon cuore di tanti viene messo a disposizione di tante solitudini, ma le azioni volontarie dovrebbero essere solo “la ciliegina sulla torta” a compendio e a integrazione di sistemi strutturati, stabili nel tempo perché la disabilità non va in vacanza.
Facciamo attenzione alle persone che sono intorno a noi, a volte poche ore del nostro tempo rendono meravigliosa la giornata di una persona; piccoli gesti che hanno delle ricadute straordinarie nella vita dell’altro. Essere comunità è esserlo sempre, e grazie al riconoscimento dei diritti dei più fragili la politica, le istituzioni ed i servizi sono chiamati a garantire la loro presenza e il loro ruolo prioritario di assistenza.