Spetta di diritto al Comune di Montalto Dora, che ha degnamente celebrato l’evento pochi anni fa, l’onore di aver dato i natali, il 6 settembre 1868, al personaggio più influente del Canavese musicale, Angelo Burbatti: un organista e compositore che forse già portava inscritta nel suo nome così promettente la vocazione dell’artista destinato a farsi mediatore e “interprete” in questo mondo di celestiali melodie.

Ma un po’ di gloria riflessa dovrebbe toccare anche a Ivrea, dove il musicista ha abitato per una vita con la sua famiglia in via Palestro, e dove ha svolto per più di 40 anni il prestigioso incarico di organista della Cattedrale, a cui si abbinò di fatto anche la funzione di maestro di canto dei giovani studenti del Seminario – come ha ricordato Tiziano Passera nell’importante volume da lui curato, “Il Maestro Angelo Burbatti (Montalto Dora 1868-Ivrea 1946). Una vita per la musica” (Bolognino Editore, 2018).

Ed è impressionante scorrere l’elenco delle centinaia di sue opere (in gran parte inedite) catalogate, nello stesso volume, dall’organista e musicologo Arturo Sacchetti: 13 Messe, 40 composizioni vocali dedicate alla Madonna, numerose pagine di musica sacra per voci e strumenti, composizioni per orchestra, pianoforte, organo e harmonium, e anche opere più “profane” per voci e strumenti, tra cui quella che diventerà negli anni la più popolare: la trascrizione per orchestra di fiati, e anche per pianoforte, dell’Inno (detto più comunemente Canzone) dello storico Carnevale di Ivrea.

A proposito di questo notissimo cult locale, sempre nei primi anni del secolo scorso, su richiesta di Roberto Tarditi, il “Generalissimo” che impersonò il protagonista del Carnevale eporediese per ben dodici volte, Burbatti provvide a trascrivere e a fissare sul pentagramma le marce e le “Pifferate”, che fino a quel tempo erano state tramandate soltanto ad orecchio.

Una personalità artistica, quella di Angelo Burbatti, che si era palesata con la precocità dell’enfant prodige, se all’età di dodici anni già era stato scelto per dirigere la banda musicale del suo paese natale. Rimasto da adolescente orfano di entrambi i genitori, continuò ad approfondire lo studio del pianoforte e dell’organo, assecondando un’attitudine innata per le discipline musicali, che coltivò con grande tenacia e che gli consentirono di presentarsi da autodidatta al Conservatorio di Milano, dove sostenne con successo l’esame di abilitazione all’insegnamento del canto corale. L’organista piemontese Roberto Cognazzo, convinto ammiratore e studioso di Burbatti, ne ha lodato la straordinaria versatilità, scrivendo che il musicista canavesano fu per l’intera sua esistenza “l’anima sonora della sua terra”.

Nel ricordo pubblicato anni fa proprio su questo settimanale da colui che del Maestro Burbatti fu anche l’allievo più vicino e fedele, il sacerdote (e musicista) Giuseppe Ponchia, si coglie un profondo sentimento di venerazione e di riconoscente affetto: “L’arte del Maestro Burbatti è lo specchio fedele della sua anima e della sua squisita umanità: l’intensità dei suoi affetti familiari, la sensibilità che lo rendeva tenero fino alle lacrime dinnanzi al dolore e alle sventure altrui, la profonda bontà che andava a tutti per un istinto generoso di solidarietà umana e cristiana, il candore ingenuo proprio degli spiriti continuamente assorti nei puri fantasmi del bello”; e, sempre per ricordare ancora lo stile e il carattere del suo amato “Maestro”: “L’organo della Cattedrale di Ivrea [un Felice Bossi del 1857] fu lo strumento dell’apostolato di elevazione delle anime a Dio di Angelo Burbatti. Mai, in tanti anni di servizio, le sue mani prodigiose sprigionarono dall’organo una nota non liturgica”.

Se la personalità artistica di Angelo Burbatti si espresse dunque soprattutto nelle forme della musica sacra destinata alle funzioni religiose, nel ricco catalogo delle sue opere sono presenti tuttavia anche piacevoli “ballabili” pianistici (valzer, polke, mazurche) e molti pezzi per voce e pianoforte, concepiti sul modello della “romanza” di fine ‘800.

Tra i tanti allievi del Maestro Burbatti, spicca in primo luogo l’artista che raccoglierà in America gli allori che non ebbe in patria: Pietro Alessandro Yon (a cui sarà dedicata una successiva pagina di Storia e Ricordi). Ma non è stato certo ultimo, tra quanti ebbero la fortuna di avere Angelo Burbatti come “Mae-stro”, anche l’indimenticabile professor Federico Perinetti, che gli dedicò giustamente un degno riconoscimento, carico di affetto, tra i suoi “Personaggi egregi di Ivrea e Canavese” (Bolognino Editore, 1992), perché da lui aveva appreso – insieme all’esempio di specchiata umanità – anche le fondamentali lezioni messe poi a frutto sia nella sua pratica di pianista dilettante, sia per il suo meritevole servizio di organista nelle chiese eporediesi, a cominciare da quella di San Lorenzo. Ed è certamente bello vedere come in questi ultimi anni abbia cominciato a realizzarsi per il Maestro Burbatti l’auspicio formulato più volte dall’allievo Perinetti: che la rievocazione dei suoi tanti discepoli potesse ricostruire la figura del nostro musicista nella sua importanza, per collocarla “al suo giusto posto nel piccolo Olimpo delle glorie eporediesi e canavesane”.

L’organo fu naturalmente lo strumento prediletto da Angelo Burbatti, ma anche il suo classico pianoforte Bechstein è stato un fedele compagno del suo lavoro creativo. Tra le tante sue composizioni, ne suggeriamo qui, alla fine di questo ricordo, due tra quelle da lui dedicate al culto della Madonna: le due “Ave Maria”, che sembrano rappresentare l’evoluzione negli anni della sua ricca e compiuta esperienza musicale: la prima, op. 110, per soprano o tenore con organo, presenta una semplice e fluente melodiosità, unita anche a una certa “voglia di canto operistico” (era dedicata, non a caso, “al caro tenore Filippo Molinari”); la seconda, op. 323, più matura e tormentata nell’impiego espressivo di cromatismi di gusto wagneriano.