(elisa moro) – “La prima (donna) aperse la via al peccato; la seconda favorì l’ingresso alla giustificazione. Quella seguì il consiglio del serpente; questa presentò l’uccisore del serpente e generò l’autore della luce. Quella, mediante l’albero, introdusse il peccato; questa, al contrario, sempre mediante l’albero, introdusse il bene” (Gregorio Magno, Omelia sul Natale).
La stupenda pagina evangelica dell’annuncio dell’angelo Gabriele ha trovato, fin dal sec. II d. C., una precisa espressione nelle formule del Credo e nell’arte cristiana.
Ricerche storiche hanno stabilito che, già nella prima metà del VI secolo, la Chiesa di Costantinopoli celebrava in modo solenne l’Annunciazione chiamata l’Euaggelismòs nella data del 25 marzo.
Questa festa era sorta nell’ambito della celebrazione del Natale, come conseguenza o come preparazione.
Giunta a Roma e poi in Spagna, la solennità dell’Annunciazione con il concilio di Toledo, del 656, era stata spostata al 18 dicembre.
Nel Medioevo fu riportata nuovamente al 25 marzo e veniva fatta approssimativamente coincidere con più o meno l’equinozio di Primavera, così da simboleggiare l’inizio della vita nuova.
In quel periodo la data segnava anche l’inizio dell’anno civile, per molte comunità.
Nel 1972 Paolo IV nel Messale nomina la festa come Annunciazione del Signore e la associa ad un ricco formulario.
Successivamente, nell’esortazione apostolica Marialis Cultus del 1974 la definisce come “festività di Cristo e insieme della Vergine”.
Festa mariana e, al contempo, cristologica, pone al centro dell’entrata del Messia nella storia attraverso l’azione dello Spirito Santo.
La figura della Madonna è paradigma della fede incondizionata e quindi esemplare.
San Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Mater ha scritto: “nell’Annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando l’obbedienza della fede a Colui che le parlava mediante il messaggero e prestando “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà”.
Si tratta però di una cosiddetta “festa mobile” e quest’anno, poiché il 25 marzo cadeva nella Settimana Santa, la Chiesa ha scelto di spostare la memoria al lunedì della seconda settimana di Pasqua.
Le letture di questa solennità del Signore ci orientano verso il mistero della Pasqua.
Il primo, l’unico «si» del Figlio che facendo il suo ingresso nel mondo ha detto: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà” (Sal 39,8-9; Eb 10,4-10), riceve la risposta del Padre, il quale, dopo l’offerta dolorosa della passione, sigillerà nello Spirito, con la risurrezione di Gesù, la salvezza per tutti nella Chiesa.
Anche le orazioni e il prefazio sottolineano il mistero dell’Annunciazione come compimento della promessa e invitano a riviverlo “nella fede”.
L’Incarnazione è anche il mistero della collaborazione solerte di Maria alla salvezza ricevuta in dono.
Svela il metodo di Dio per attuare la salvezza: passare attraverso la creatura, per redimerla: “…e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… e noi vedemmo la sua gloria”. (Gv 1,14).
Può essere utile meditare questo mistero attraverso la lettura di un’opera d’arte, l’Annunciazione di Leonardo da Vinci.
Dipinta dal genio del Rinascimento, allora ventenne, è oggi conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Originariamente l’opera era ospitata nella chiesa di San Bartolomeo a Monteoliveto sulle colline a sud di Firenze. Ci si può soffermare su due aspetti di questa opera straordinaria.
Hortus Conclusus: a differenza di molte versioni precedenti dell’Annunciazione Da Vinci ne colloca l’ambientazione in un giardino recintato (“hortus conclusus”), chiaro riferimento al Cristo e alla sua sposa dal Cantico dei Cantici (cf. Cantico dei Cantici 4:12), da cui il suo significato.
In Cantico dei Cantici il giardino è un simbolo del corpo della Sposa, chiuso e chiuso al mondo esterno e tuttavia fecondo.
A sua volta è anche simbolo di Maria stessa, pura e protetta dal mondo esterno, ma anche feconda e portatrice del Figlio di Dio.
La Bibbia si inizia proprio con la visione di un giardino, il giardino piantato da Dio nell’Eden (cfr Gen 2,8), e termina con l’evocazione di una città – giardino, la Gerusalemme celeste: “in mezzo alla pianta della città, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22,2).
La Bibbia ci parla anche di un altro giardino, quello del Cantico dei Cantici, dove i due amanti – sposi si incontrano, attraverso metafore e immagini dei fiori e dei frutti.
Il giardino fiorito è segno di rinascita, prefigurazione del giardino pasquale, quello della tomba vuota, dove la Maddalena incontra l’amato Signore risorto dalla morte.
Maria accoglie l’annuncio dell’angelo in un giardino: come l’uomo aveva perso il suo accesso al cielo in un giardino, così ora, per mezzo della Vergine, può nuovamente tornare.
Viene alla mente la splendida pagina di San Bernardo di Chiaravalle: “Te ne supplica …O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore” (Dalle omelie sulla Madonna).
La montagna e l’acqua: il sublime scenario dipinto, esempio perfetto di prospettiva aerea rinascimentale, nasconde una serie di allegorie e simbologie.
L’acqua rappresenta la purezza di Maria, riproposta anche nel simbolo di “guida dei naviganti“, vista la città portuale dipinta sul fondo. Quasi accennata, a completamento dell’opera, una montagna, dalle tinte chiare e non ben definite. Il monte è luogo inospitale ma fecondo, non “lavorato dalle mani dell’uomo”, puro e immacolato, come Maria, ma vicino alla realtà celeste.
Certamente Leonardo, che si reputava “omo sanza lettere”, era a conoscenza del testo dantesco e della visione del Purgatorio, come monte spuntato dal corrugamento della crosta terrestre.
Il monte è quello di Sion, citato in Isaia (2, 1-5): “alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti… verranno molti popoli… non si eserciteranno più nell’arte della guerra”.
Il monte è il luogo della pace, del sogno che Dio ha per l’umanità, che si incontra e si riunisce in Sion, nella nuova civiltà dell’amore che scaturisce proprio dal sì di Maria.
Nell’Eccomi di Maria, vera chiave d’accesso all’Incarnazione del Verbo, vi è il vero modello della fede fiduciosa e, verso una realtà che è ancora non definita; questo è l’esempio per ogni credente, che può rivolgerle la preghiera con cui Dante conclude il Paradiso: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura” (XXXIII Paradiso).