Nel recente convegno “Sotto il ferro e il fuoco, la chirurgia militare attraverso i secoli” tenutosi all’Università di Pavia presso il “teatro anatomico” dell’Aula “Scarpa”, si è notato, nel porticato dell’antico e prestigioso ateneo, un busto che come altri similari, celebra il corpo docente del passato.
Subito è balzato agli occhi quello di Antonio Quaglino che nacque a Zubiena il 13 ottobre 1817, comune agricolo che con le frazioni di Perogno, Riviera e Vermogno sorge lungo la strada che da Biella porta a Ivrea, delimitato dalla pietraia della Bessa e dal cordone morenico della Serra, territorio bagnato dal torrente Olobbia che raccoglie in questo tratto tre rii: Prajasse, Parogno e Valle Sorda. Il padre era Giovanni Battista, negoziante di modeste condizioni che diede i suoi anni migliori alla Grande Armèe di Napoleone Bonaparte. La madre era Maria Debernardi ma lo lasciò presto orfano. Antonio fu affidato inizialmente ai nonni materni per poi doverli lasciare a malincuore per seguire il padre a Milano. Qui gli diede un’istruzione e dopo le scuole primarie lo iscrisse all’Imperial-Regio liceo Sant’ Alessandro.
Ottimo studente, conseguì brillantemente il diploma di licenza e nel 1836 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia. Guidato da Francesco Flarer, scelse l’oculistica come ramo di specializzazione e nel 1842 conseguì la laurea in medicina e chirurgia. Dal 1843 al 1845 fu assistente presso la clinica oculistica di Pavia.
Tornato a Milano si dedicò, insieme ad alcuni giovani colleghi, a ricerche di medicina generale, fisiologia e farmacologia che portarono, in collaborazione con A. Manzolini, alla pubblicazione del lavoro Dell’influenza che esercitano molte sostanze putrefatte, il pus, la bile ed altri umori sull’economia animale, e dell’azione elettiva delle principali sostanze medicamentose, sugli Annali universali di medicina nel 1848 e con Restelli pubblicò sui medesimi annali Studi sperimentali sulle arterie, nel 1849 sperimentando anche le nuove tecniche di anestesia descritte in: Esperimenti sui cani intorno l’azione dei vapori d’etere solforico, nel 1847 e Sperimenti sui bruti col cloroformio, apparso sulla “Gazzetta medica lombarda”, nel 1848. Coinvolto nell’opposizione al governo austriaco, partecipò con il padre attivamente ai moti di Milano del 1848 prestando anche servizio come chirurgo militare. Proprio in quell’occasione istituì un dispensario oftalmico che mantenne per quasi vent’anni al servizio di migliaia di pazienti bisognosi. Fu docente di oculistica nella scuola di studi medici di Milano istituita nell’ospedale Maggiore, in seguito alla chiusura dell’Università di Pavia, nel 1848.
Diventato medico primario e direttore del reparto oftalmico dell’ospedale Fatebenesorelle di Milano dal 1855 (anno della morte del padre) al 1860, fu pioniere nell’utilizzo dell’oftalmoscopio, uno strumento inventato da Charles Babbage nel 1841 ma sviluppato e messo a punto da Hermann von Helmholtz nel 1851. Lo strumento permette di osservare il fondo dell’occhio e dunque delle varie strutture che compongono la tonaca retinica del bulbo oculare indispensabile per individuare malattie dell’occhio.
Con l’esperienza dell’uso, Antonio Quaglino pubblicò anche uno dei primi atlanti di oftalmoscopia nel 1858. Nel novembre 1860 divenne professore ordinario di oculistica teorico-pratica nell’Università di Pavia e nel 1862, direttore della clinica oculistica. Dal 1876 fu per tre anni preside della facoltà di medicina di Pavia.
Ogni sua esperienza la condivise con il mondo scientifico pubblicando i risultati ottenuti. Apprezzato chirurgo, utilizzò tecniche innovative per l’estrazione della cataratta. Trattò il glaucoma sperimentando l’iridectomia, l’escissione chirurgica di un lembo dell’iride e fu poi tra i primi a eseguire la sclerotomia, l’incisione chirurgica per la cura del glaucoma, degli interventi sulla retina e per l’estrazione di corpi estranei, contribuendo a modificare la prassi operatoria i cui risultati pubblicò in: On sclerotomy in the treatment of glaucoma, in Report of the fourth international ophthalmological congress, London 1873.
Con il collega Angelo Scarenzio, sperimentò l’uso del calomelano (cloruro mercuroso) nelle affezioni oculari sifilitiche. Pubblicò poi alcuni studi sull’emeralopia (cecità notturna) a Milano nel 1864 e sull’azione del bromuro di potassio nell’ambliopia alcolica (perdita della vista nei soggetti alcool dipendenti) con lo studio: Sui vantaggiosi effetti del bromuro di potassio nella cura delle ambliopie, dipendenti dall’abuso delle bevande spiritose, in: “Annali di ottalmologia”, del 1873.
Quaglino si dimostrò anche un abile clinico perché seppe mettere in correlazione l’oculistica con la neurologia, fissate in due studi: Delle amaurosi encefalo-spinali e delle amaurosi gangliari, nel “Giornale italiano di ottalmologia-stati sardi” del 1861 e 1862 e il Riassunto delle attuali nostre cognizioni sui rapporti dell’apparecchio visivo coi centri nervosi, del 1884 descrisse con precisione un caso di prosopoagnosia, (un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce ai soggetti che ne vengono colpiti di riconoscere i tratti di insieme dei volti delle persone e degli oggetti) individuando aspetti peculiari per le successive riflessioni neurofisiologiche sulla malattia che pubblicò nel 1867 con Emiplegia sinistra con amaurosi – Guarigione – Perdita totale della percezione dei colori e della memoria della configurazione degli oggetti, in Giornale d’oftalmologia italiano.
In collaborazione con i numerosi allievi e assistenti si occupò anche di anatomia patologica, pubblicando descrizioni di diversi tumori oculari negli Annali di oftalmologia, periodico bimestrale da lui fondato nel 1871. Pubblicò anche la traduzione italiana del manuale di Carl Stellwag von Carion, in due volumi, Manuale di oculistica pratica, Milano 1865 e del trattato di Franciscus Cornelis Donders Sulle anomalie della accomodazione e della rifrazione degli occhi, Milano 1875. Rappresentò il regno d’Italia al Congresso internazionale di oculistica di Parigi nel 1862 e fu membro della Commissione internazionale per la nuova graduazione delle lenti secondo il sistema metrico nel 1867.
Attento all’importanza delle pratiche igieniche nei locali della clinica prima dell’affermarsi dell’antipepsi per evitare il contagio infettivo tra operati e degenti paradossalmente nel 1881 fu però costretto a lasciare il lavoro per una violenta oftalmia contratta nella medicazione di un paziente infetto, degenerata in serio danno corneale, che lo rese quasi cieco. Riacquistò parzialmente la vista, ma fu costretto a lunghi periodi di aspettativa fino al definitivo collocamento a riposo, nel 1885. Fu colpito anche negli affetti familiari dalla perdita prematura della figlia Florida, morta in tenera età, e di Benvenuto, stroncato diciannovenne dalla tubercolosi. Gli sopravvisse solo Romolo, avvocato e conosciuto poeta.
A Pavia ingrandì e portò prestigio alla clinica oculistica, unendo doti cliniche e passione per la didattica. Ebbe molti allievi e assistenti tra i quali Nicolò Manfredi, Luigi Guaita, Roberto Rampoldi.
Fu socio corrispondente di istituti e accademie medico-chirurgiche. Fu insignito della croce dei santi Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia.
Ormai quasi completamente cieco si ritirò sul lago di Como, a Tremezzo dove morì il 13 gennaio 1894.