La lotta al Covid è una cosa seria che nessuno deve ridicolizzare ma che pretende, da chi ha la responsabilità di tracciarne le linee guida, di evitare proposte farraginose, raffazzonate, approssimative, di dubbia interpretazione, quasi inapplicabili e difficilmente controllabili e semmai sanzionabili. Altrimenti la battaglia è persa.
E che la lotta autunno-invernale al Covid-19 potrebbe essere persa lo si legge già sul volto dei cittadini, preoccupati e frastornati da una informazione che ha varcato il limite dell’essere doverosa per diventare sensazionalismo (come scrive anche il nostro Mario Berardi, maestro di giornalismo, nelle ultime righe del suo commento alla pagina 2).
Viene da chiedersi a cosa è servita l’estate di calma quasi piatta, se non sono state prese tutte quelle disposizioni – non solo sanitarie ma anche economiche, e non di sole future promesse – per far fronte all’autunno-inverno che già in primavera era annunciato come il periodo della seconda ondata.
L’uomo solo al comando che con i suoi dpcm, in virtù di un auto-prolungato stato di emergenza, governa e decide senza l’ausilio del Parlamento, potrebbe ripetere il tragico film primaverile, gettando sulle spalle degli italiani le responsabilità dell’andamento dell’epidemia.
Alla fine dei conti, la cifra a cui si guarda con maggior trepidazione è quella delle terapie intensive, che se andranno di nuovo in fibrillazione paralizzeranno il nostro già claudicante servizio sanitario nazionale. Invitiamo non più di sei persone a casa, ma come la mettiamo con l’irrisolto problema dei super affollati trasporti pubblici dove fa più in fretta a circolare il virus che l’autobus arrivare alla fermata successiva?
Moltiplicare i tamponi era il ritornello tormentone di primavera, per arrivare prima che il virus mordesse, ma come la mettiamo oggi con le code chilometriche e con i risultati che arrivano dopo quattro o cinque giorni? Dire adesso che vanno aumentati i siti di prelievo è tardi. Valeva a marzo, quando la bufera del Covid arrivò a tutta velocità; ma oggi si pretende di conoscerlo, di saperne qualcosa di più di allora e soprattutto che non saremmo scampati ad una seconda ondata.
Va a finire che la super criticata ministra Azzolina aveva ragione nel dire che la scuola è l’ambiente più protetto tra quelli che frequentano i ragazzi che poi, al di là del cancello della scuola, non si fanno scrupoli all’inosservanza delle più elementari regole anti contagio, e con essi non pochi genitori. C’è in giro tanta mancanza di responsabilità nell’osservare le tre regole d’oro, per altro neppure così mortificanti per la libertà nostra e la salute di tutti: mascherina, distanza e lavaggio delle mani.
Le notizie sul vaccino sono altalenanti; un giorno è quasi pronto, nell’altro si annunciano tempi ancora lunghi. Come il Recovery Fund, i cui miliardi tanto attesi si allontanano verso l’autunno dell’anno prossimo.
Per gettare tutti nella prostrazione ci mancavano, ieri, le previsioni del virologo Crisanti; “il lockdown a Natale è nell’ordine delle cose” rimbalzato a caratteri cubitali su tutti i social, le agenzie e i giornali online. “Se così fosse, faceva eco una commerciante in città, la mia attività sarebbe finita per sempre”.
Ci crediamo ampiamente e sappiamo quante migliaia di drammatiche situazioni simili devasterebbero il nostro Paese. Si deve sperare che il virologo si sbagli? Si deve sperare che il vaccino sia dietro l’angolo nonostante tutto? Si deve sperare che per vincere la lotta le linee guida tracciate saranno sufficienti? Si deve chiedere all’informazione di evitare gli allarmismi ingiustificati e fare titoli più ragionati?
Una montagna di domande stanno nuovamente spaventando la gente e paralizzando lo slancio di ripresa dopo la prima ondata. Una montagna faticosa da scalare, per tutti e ancor più per chi, a causa dell’accentuato divario socio-economico provocato dalla prima ondata e dalla manifesta difficoltà del governo di dare risposte serie, rapide ed efficaci, oggi rischia di vedere pericolosamente il buio davanti a sé.