Sedici secoli fa, il 22 gennaio 418, moriva san Gaudenzio. Novara dedica al suo primo vescovo festeggiamenti solenni. E noi eporediesi ci associamo ricordando che Ivrea, tra il 327/337, gli ha dato i natali; che qui egli iniziò il suo cammino di cristiano, proseguito poi nella formazione ricevuta a Vercelli, nel cenobio sacerdotale istituito da sant’Eusebio, da dove, ordinato sacerdote, fu mandato a Novara in aiuto al prete Lorenzo, l’unico in quelle zone.
Siamo alle origini del cristianesimo in Piemonte, la Regio IX Italiae, popolata dai celto-liguri, due etnie ormai romanizzate da tempo. La diffusione del Vangelo avanzava lentamente con gli apporti di Milano e anche della Gallia, da dove – testimonia san Gregorio di Tours – fin dal secolo III non pochi missionari laici partirono per il Piemonte. Nella lettera dall’esilio a cui fu mandato per la sua coraggiosa adesione alla fede proclamata dal Concilio di Nicea, Eusebio saluta, insieme alla comunità vercellese, le già organizzate comunità di Novara, Ivrea, Tortona. Sant’Eusebio era giunto a Vercelli come vescovo nel 345. Intensa fu la sua opera di evangelizzazione; nel suo cenobio ricevettero una forte impronta grandi figure di Vescovi: Limenio e Onorato, suoi successori, Gaudenzio di Novara, Esuperanzio di Tortona; ma anche Eustasio di Aosta, Massimo di Torino e il nostro primo vescovo, Eulogio di Ivrea.
Per la Chiesa, terminate da poco le persecuzioni cruente durate più di due secoli ad opera del paganesimo, la testimonianza della fede richiedeva il coraggio e la dedizione dei “confessori”, testimoni della fedeltà a Cristo nelle vicende quotidiane: tra esse, le sofferenze, tutt’altro che lievi, inflitte dai potenti sostenitori dell’eresia ariana che, negando la divinità di Cristo, minava alle radici il cristianesimo. Per la società è il tempo in cui l’Impero conosce il tracollo, affrettato dalle invasioni barbariche: Massimo di Torino parla nelle sue omelie delle immani distruzioni, invitando però i fedeli a non perdere il coraggio: «I barbari – diceva – hanno distrutto le vostre abitazioni, non la città, perché la città siete voi». Gaudenzio è testimone della fede e della carità cristiana in un’epoca difficile che per non pochi aspetti richiama la nostra.
Nel 355 Eusebio era stato condannato all’esilio dall’Imperatore filoariano Costanzo II: a Scitopoli di Palestina, dove la lontananza dalla sua comunità e le preoccupazioni per essa acuirono le sofferenze fisiche, il diacono Siro e l’esorcista Vittorino gli portarono la consolante notizia che nessun vescovo ariano si era insediato a Vercelli e che il clero ed il popolo erano rimasti fedeli alla autentica dottrina della fede. Dovettero sicuramente commuovere anche Gaudenzio le parole del vescovo Eusebio: «Mi compiaccio, fratelli, della vostra fede e mi rallegro della salvezza che essa in voi ha prodotto. Sappiate che a mala pena ho potuto scrivervi questa lettera, pregando continuamente Dio di trattenere i miei custodi e di concedere al nostro diacono di poter portare a voi piuttosto i nostri saluti che le notizie delle nostre tribolazioni. Vi scongiuro pertanto insistentemente di custodire con ogni cura la vostra fede, di mantenervi concordi, di essere assidui nell’orazione, di ricordarvi sempre di noi, perché il Signore si degni di dare libertà alla sua Chiesa, ora oppressa su tutta la terra, e perché noi, che siamo perseguitati, possiamo riacquistare la libertà e rallegrarci con voi».
Dalla Palestina Eusebio sarà trasferito in Cappadocia e poi nella Tebaide; i gravi maltrattamenti fisici continueranno, ma nel 361 anche per lui si aprì la via del ritorno. «Al ritorno di Eusebio l’Italia depose le vesti del lutto» scrisse san Girolamo. A Vercelli fu ricevuto in trionfo. Il popolo gli andò incontro dicendo: «Ti assicuriamo, Padre, che abbiamo conservato integro il patrimonio della fede come tu ce l’hai insegnata a viva voce e confermata con lettere dall’esilio».
E’ facile pensare che tra quel popolo festante ci fosse anche Gaudenzio che nel 398 sarà consacrato vescovo di Novara, con ogni probabilità da Simpliciano, successore di Ambrogio: e continuerà per circa vent’anni la sua opera di appassionato predicatore, formatore di sacerdoti nello stile appreso da Eusebio, maestro e testimone del Vangelo per il popolo cristiano. Alla sua morte fu sepolto fuori le mura; nel V secolo fu edificata una basilica che presto prese il suo nome. Le sue reliquie sono ora custodite nella basilica attuale, la cui ardita cupola antonelliana, con il pinnacolo che raggiunge i 121 m., sembra dire: Gaudenzio è qui!
Se pochi sono i dettagli che conosciamo della vita di Gaudenzio, il suo vero ritratto, ancor più affascinante di quello prezioso affrescato della cripta della nostra Cattedrale, è la sua indomita fedeltà a Cristo in un tempo per nulla facile.
† Edoardo, vescovo