(di Cristina Terribili)
In occasione della giornata del 2 aprile (martedì scorso, per chi legge) e in generale nel corso di tutta questa settimana, in occasione della ricorrenza mondiale che pone l’attenzione sugli autismi, molti commercianti hanno esposto un cuore blu sulle vetrine e altre iniziative “blu” sono in programma.
Le sindromi autistiche hanno però bisogno non solo di solidarietà, hanno bisogno anche di chi accetta la sfida di rendersi capace di accogliere e far vivere la migliore vita in autonomia a chi soffre del disturbo.
Da “Rainman” a “The Good Doctor” (per citare un film campione d’incassi e una recente e seguitissima serie TV) di autismo se ne parla sempre più spesso: si cerca di conoscere il mistero di queste menti all’apparenza bizzarre, si cerca il modo di mostrare limiti e potenzialità, di favorire la partecipazione emotiva, di immaginare ogni possibile integrazione di chi soffre di autismi. Perché, chi soffre di disturbi generalizzati dello sviluppo – quelli che comprendono i disturbi dello spettro autistico e la sindrome di Asperger – ha una vita, una famiglia, degli amici, una scuola, un impiego, che tutti i giorni si confrontano con i problemi o le potenzialità connesse al disturbo.
L’area maggiormente inficiata da queste sindromi è l’area relazionale, con tutto quello che comporta, le difficoltà di comunicazione, verbale e non verbale, o la gestione di essa. In molte occasioni, i terapisti che affiancano le famiglie nella crescita di un figlio autistico, lavorano ampiamente sulle autonomie che è ciò che ti permette di poter gestire il tuo spazio ed il tuo tempo, i ritmi sonno-veglia e l’alimentazione, il quotidiano, per dirlo con un unico termine. L’autonomia è quella capacità che permette ad ognuno di noi di vivere da solo o, nelle diverse fasi di sviluppo, di potersi staccare dall’adulto e fare le cose da solo.
Affinché la migliore autonomia sia possibile, c’è bisogno di eventi favorevoli che riguardano sia la persona che deve rendersi autonoma, sia la società che deve favorire il processo di autonomia. Servono dunque persone sensibili a cogliere e ad adattare il proprio stile comunicativo a chi soffre di un disturbo autistico e che è in grado di facilitare l’accesso alla soluzione del bisogno.
Sarebbe utile che oltre al cuore del 2 aprile, si potesse avere una sorta di bollino “autismo friendly” da tenere sempre, affinché le persone autistiche possano accedere con la sicurezza di trovare chi è in grado di accoglierle con il giusto approccio e la giusta comprensione. Infatti, chi vuole comprendere la persona con autismo deve essere pronto a capire una comunicazione che ha un diverso tono o che si sostanzia attraverso tavolette comunicative.
La persona autistica potrebbe non aver sviluppato un linguaggio verbale ma potrebbe avere una tavoletta con delle immagini, che la aiutano ad esprimere i suoi desideri ed i suoi bisogni. Sarebbe bene che imparassimo tutti ad essere vicini a chiunque viva una condizione diversa a quella che pensiamo essere la “normalità”. Solo in questo modo possiamo favorire un concreto sviluppo delle potenzialità di tutti, sostanziare in azioni precise il concetto di integrazione sociale, garantire la partecipazione a tutti i membri della comunità. Aumentarne il senso di efficacia e dunque anche quello di sicurezza.
Dobbiamo pensare però, che per fare questo abbiamo bisogno di essere capaci di offrire un cambiamento, di modificare per primi un punto di vista, di raccogliere la sfida di apprendere qualcosa di nuovo e di metterlo a disposizione di tutti.