(Cristina Terribili)
ROMA – Quando si è direttamente colpiti da un lutto, ci si sente confusi e nel pallone: si passa un tempo pieno di cose da fare e di persone che ti si raccolgono vicine, ma in un’atmosfera di sospensione, in un tempo senza tempo. Poi però si riparte, perché è importante stare con la testa fissa sugli obiettivi di tutti i giorni e perché, il dono che possiamo fare a chi lascia la vita terrena è di renderlo sempre orgoglioso di noi e del nostro cammino.
Ieri (ma vorrei dire tutti i giorni) era un giorno importante. La giornata contro la violenza sulle donne non si può mancare. I nostri problemi vanno accantonati per essere presenti e partecipi ad una lotta che deve essere combattuta sempre, e soprattutto da chi ha avuto la possibilità di essere circondata da amore e da rispetto. Forse oggi riesco ad onorare di più la memoria di mia madre – donna sempre autonoma, coraggiosa nelle sue scelte, libera e allegra – proprio scrivendo e riflettendo su quello che accade ancora a troppe donne.
I numeri non riusciranno mai a riflettere una condizione di sofferenza in cui versano così tante persone di tutte le età; ma anche se ne rimanesse solo una di donna vittima di violenza sarebbe sempre troppo. Ci sconcertano certe decisioni che vengono prese, ci si indigna nell’ascoltare ragionamenti di chi dovrebbe collaborare attivamente a proteggere una persona in situazione di estrema difficoltà. Questo ci fa comprendere come un percorso di sensibilizzazione prima e di vera e propria educazione poi, debba essere ancora compiuto.
Ci si concentra molto sull’educazione emotiva, sentimentale e sessuale dei ragazzi ma manca una specifica attenzione al mondo degli adulti. Mi sembra che manchi ancora la compattezza forte di una lotta orientata da una parte a contenere il problema e dall’altra a offrire assistenza e appoggio concreti per una nuova speranza di vita alle vittime, perché ci imbattiamo ancora troppo spesso in pregiudizi nei confronti del ruolo della donna. Peggio e pericoloso se poi certi preconcetti arrivano da chi ha una sorta di potere decisionale.
Il recente caso della maestra torinese vittima di vendetta con la pubblicazione sul web e sui social di sue immagini private ci fa capire quanto siamo distanti dal comprendere chi è la vittima e chi è il colpevole e soprattutto che la vittima deve essere adeguatamente tutelata mentre il colpevole deve essere assicurato quanto prima alla giustizia. Se questo passaggio salta, la vittima si colpisce più e più volte.
Il “revenge porn” è un reato: nessuno dovrebbe mai permettersi di utilizzare elementi che riguardano l’intimità di una coppia per mettere in ridicolo o dare in pasto ad una folla ignorante qualcosa che faceva parte di un atto di confidenza. Alla vittima va data protezione, visto che il peso di quanto è accaduto è già di per sé sufficiente per straziarle l’anima.
In seguito a quanto occorso alla giovane donna che si è vista postata in una chat di calcetto, ritengo sconcertanti i commenti fatti sull’universo maschile, considerato alla stregua di un ammasso di animali incapaci di distinguere la drammaticità in quello che osservavano. Se fossi stata un uomo mi sarei sentita indignata e avrei cercato di fare tutto quanto potevo per svegliare una coscienza di genere.
La violenza, tragicamente evolve e si modernizza, si esplica in nuovi modi, trova forme sempre più sottili e crudeli per colpire. Ieri, oggi, domani… nessuno può sentirsi escluso dal dare attivamente un contributo teso a garantire la dignità di tutti.