(Fabrizio Dassano)
Un ritratto di Bernardo Perazzone è stato possibile con la documentazione militare del fu Distretto militare di Vercelli e con i ricordi familiari dei discendenti. Noto ai meno giovani a Ivrea, ebbe una lunga carriera di fotografo avendo aperto, dopo la fine della Grande Guerra, il negozio di “Fotografia e vendita articoli fotografici B. Perazzone” al numero 33 dell’antica Piazza d’Armi, nella zona orientale della città vicino alla chiesa di San Lorenzo.
Lo “Studio Fotografico Perazzone” nei decenni successivi si trasferì quindi prima in Corso Nigra (Casa Getto), poi in via Perrone (oggi via dei Patrioti) 7 e infine in via Palestro 88, dove rimase fino alla chiusura.
Il ruolo matricolare porta il numero di 2766 e ci narra che era nato l’11 marzo 1898 da Paolo e da Maria Reviglione a Zimone, piccolo comune sulla Serra, che divide Canavese e Biellese. Alla visita militare risultava alto un metro e 65 centimetri, aveva “naso lungo, gli occhi castani, di colorito roseo e dentatura sana”. L’arte o la professione che fu annotata fu quella di fotografo, insieme a quella di saper leggere e scrivere.
Iscritto negli elenchi di leva del Comune di Zimone, Mandamento di Salussola nel Circondario di Biella, con una prima visita al Distretto di Vercelli la commissione medica il 14 febbraio 1917 ne decretò il congedo illimitato perché riconosciuto di seconda categoria. Ma le spaventose perdite al fronte, fecero rivedere le posizioni dei congedati. Appena pochi giorni dopo, il 26 febbraio, fu richiamato alle armi e inviato al Deposito del 5° Reggimento del Genio nella specialità dei minatori, ove giunse l’11 marzo del 1917. L’istruzione del giovane avvenne nei campi di Perosa Argentina dove iniziò di fatto la sua carriera di fotografo militare, documentando stralci della vita in caserma e delle esercitazioni.
L’11 settembre 1917 fu chiamato per la mobilitazione. Il 15 giugno del 1918 venne inquadrato nella sezione minatori ciclisti e come tale, dal 1° gennaio fu in forza alla 3ª sezione fotografica della Terza Armata sul Carso, da cui l’amicizia con il duca d’Aosta, come ci tramandano, oltre ai racconti, i ritratti fotografici e i ricordi familiari con una dedica del duca medesimo a lui indirizzata e altri encomi. Il 22 luglio 1919 fu distaccato presso il Comando d’Armata. Sulle attestazioni per campagne e azioni di merito, sono riportati il timbro per la Campagna di guerra del 1918 con la concessione a fregiarsi della relativa fascetta, nonché della “Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918” e della “Medaglia interalleata della vittoria”.
La fotografia di guerra, nata tra il 1853 e il 1856 durante la guerra di Crimea, conobbe un rapido sviluppo: nel maggio del 1915 vennero istituite tre squadre e da luglio quella del Corpo Aeronautico. Nel 1917 con il protrarsi delle vicende belliche vennero create otto squadre fotografiche terrestri del regio Esercito. Alla fine del 1917 vennero assegnati al Battaglione Dirigibilisti di Roma 106 militari, fotografi di professione, per aumentare i ranghi delle squadre fotografiche.
Alla fine della guerra si contarono circa seicento fotografi militari del regio Esercito Italiano che produssero 150.000 negativi con 291 macchine fotografiche in dotazione. I negativi raccolti furono 17.000, le fotografie e i film furono ceduti nel 1919 al Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, oggi conservati dall’Istituto della Storia del Risorgimento Italiano.
Dopo la guerra il duca d’Aosta lo chiamò a Trieste come fotografo di feste, cerimonie e banchetti. Bernardo in guerra non sempre era in prima linea e non aveva nessun superiore diretto se non il duca; ricordava la vita di fotografo militare ricca di molte libertà e il duca d’Aosta lo chiamava familiarmente “Giotto, l’artista del ritocco”. Il duca gli riconosceva infatti una grande abilità nel migliorare i ritratti fotografici.
Al Quartier Generale della III Armata gli fu proposto di seguire un corso specializzato di fotografia a Firenze, ma stanco della vita militare e degli orrori che aveva dovuto fotografare, voleva tornarsene nella sua Zimone perché ad attenderlo c’era la fidanzata, Angela Givonetti, che poi sposò a Ivrea l’11 settembre 1923. L’attività di fotografo trovò però l’opposizione del padre Paolo che al lavoro contadino affiancava quello di imprenditore edile ma alla fine Bernardo la spuntò e riuscì ad aprire il proprio negozio a Ivrea. Qui esibiva spesso le sue fotografie che aveva tenuto per sé, anche quelle scartate e non inviate a Roma e le commentava con gli amici e con i clienti che si riunivano nel suo negozio e tra loro i molti reduci. Si dedicò anche alla fotografia aerea, una passione direttamente collegata a quella del volo a vela, al punto che diventò socio pilota dell’Aero Club di Aosta.
Sua è una fotografia area del capoluogo valdostano pubblicata dal Touring Club Italiano alla fine degli Anni Venti del Novecento.
Nitido e suffragato dalla corrispondenza esistente alla Biblioteca Civica è il ricordo delle visite di Sergio Pugliese, l’eporediese che negli Anni ‘50 del Novecento era al vertice della programmazione della Rai Radiotelevisione Italiana. Conoscendo a fondo l’archivio fotografico, Pugliese scrisse un giorno da Roma a Bernardo chiedendo di poter avere le fotografie poiché aveva in mente di utilizzarle per farne un programma televisivo. Bernardo prese carta e penna e gli scrisse che non le avrebbe spedite, perché era certo che non le avrebbe mai più riavute.
La sua vita continuò serena a Ivrea e ormai anziano seguì la figlia Adriana in Alessandria ove si era sposata con Franco Bellomo. Morì il 4 gennaio 1979. La raccolta fotografica fu donata con atto di grande lungimiranza dalla moglie Angela alla Biblioteca civica che le conserva nel “fondo Bernardo Perazzone” e ne ha permesso la pubblicazione nel 2018 nel volume “Bernardo Perazzone, un fotografo eporediese alla Grande Guerra” un volume di 275 pagine con una selezione di immagini del fondo, editata dall’Associazione di Storia e Arte Canavesana con la prefazione dello storico Lucio Fabi, volume curato dallo scrivente e da Elisa Benedetto e realizzato dalla tipografia Baima – Ronchetti &C. di Castella-monte, con il contributo della fondazione Guelpa.