(di Doriano Felletti)

Gli anni Sessanta iniziarono tragicamente per l’Olivetti. Il 27 febbraio 1960 morì Adriano Olivetti. Il 9 novembre 1961 morì anche Mario Tchou a cui Adriano aveva affidato il Laboratorio di ricerche elettroniche che, nell’ottobre 1962, confluì nella Divisione Elettronica Olivetti. Le difficoltà economiche in cui l’azienda venne a trovarsi e il disorientamento degli eredi di Adriano portarono all’ingresso in società di nuovi azionisti (il gruppo di intervento, costituito da Medio-banca, Fiat, Pirelli, Imi e La Centrale). Il nuovo asset decise di puntare sulla produzione di sistemi meccanici e di ridurre sensibilmente gli investimenti nel settore elettronico.

Il 30 aprile 1964 Vittorio Valletta, presidente FIAT, disse agli azionisti che “la società di Ivrea è strutturalmente solida, potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”. Così, poche settimane dopo, il 75% della DEO fu ceduta alla General Electric.

In quel difficile contesto, emerse la figura di Pier Giorgio Perotto, ingegnere nato a Torino nel 1930. Assunto nell’aprile del 1957 dal Laboratorio di Ricerche Elettroniche di Barbaricina, poi traferito a Pregnana Milanese, dopo la cessione del ramo d’azienda decise di restare all’Olivetti e si ritrovò, insieme a Giovanni De Sandre, Gastone Garziera, Giancarlo Toppi e Giuliano Gaiti, a cercare di dare forma ad un’idea: “il sogno di una macchina nella quale non venisse solamente privilegiata la velocità o la potenza, ma piuttosto l’autonomia funzionale, che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l’intero procedimento di elaborazione, però sotto il controllo diretto dell’uomo. […] Sognavo una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che consentisse di immagazzinare istruzioni e dati, ma nella quale le istruzioni fossero semplici ed intuitive, il cui uso fosse alla portata di tutti e non solo di pochi specialisti. Perché questo fosse realizzabile, essa doveva sopratutto costare poco e non essere di dimensioni diverse dagli altri prodotti per l’ufficio, ai quali la gente si era da tempo abituata”.

Così, alla fine del 1964, nacque il primo prototipo della “Perottina”, poi denominata ufficialmente “Programma 101”; grande poco più di una macchina da scrivere, aveva 10 registri di memoria, era programmabile in un linguaggio di programmazione basato su 16 istruzioni e leggeva e scriveva dati su una “cartolina” di materiale flessibile dotata di una striscia magnetica; Franco Bretti si occupò della progettazione della tastiera e della stampante integrata. Il package fu affidato a Mario Bellini, l’architetto che ispirò Steve Jobs nella realizzazione dei prodotti Apple, che propose una soluzione funzionale ed all’avanguardia.

Il lancio commerciale avvenne, su indicazione di Elserino Piol, responsabile della pianificazione dei prodotti aziendali, al BEMA Show, la grande esposizione di prodotti per ufficio che si teneva a New York nel mese di ottobre del 1965. La presentazione avvenne in un’affollata conferenza stampa a Park Avenue, alla presenza di centinaia di giornalisti e di esperti del settore. Il riscontro fu entusiastico: “in una saletta riservata, sulla parete di fondo dello stand, era collocata una Perottina”. […] “Non appena il pubblico si accorse della Programma 101 e si rese conto delle sue prestazioni, cominciò ad affollarsi nella saletta, desideroso di mettere le mani sulla tastiera, di avere

informazioni su quando il prodotto sarebbe stato disponibile, sul suo prezzo. In un primo tempo le reazioni furono quasi di diffidenza: alcuni chiesero se per caso la macchina non fosse azionata da qualche grosso calcolatore nascosto dietro la parete! Poi la diffidenza si mutò in stupore, infine in entusiasmo. […] Pochissima attenzione venne riservata a tutte le altre macchine dello stand. La situazione si complicò ancora nei giorni successivi, quando il personale dovette organizzare una specie di servizio d’ordine per regolare l’eccezionale

afflusso dei visitatori alla saletta”. Dopo il successo ottenuto alla Fiera di Mosca del dicembre del 1965 e alla Fiera campionaria di Milano del 1966, l’Olivetti decise di iniziarne la produzione su larga scala che fu avviata nello stabilimento di San Bernardo d’Ivrea. La Programma 101 fu prodotta in 44.000 esemplari e proposta sul mercato ad un costo di 3.200 dollari negli Stati Uniti e di 2 milioni di lire in Italia. Il canale televisivo statunitense NBC ne acquistò cinque esemplari per computare i dati dei risultati elettorali; la NASA ne acquistò un intero lotto.

Il successo della Programma 101 iniziò però a risvegliare la concorrenza a tal punto che, nel 1967, la Hewlett Packard avviò la produzione di un dispositivo, denominato HP9100, e copiò di sana pianta il dispositivo di lettura e scrittura costituito dalle schede con banda magnetica. A causa di ciò, la Hewlett Packard pagò una salatissima royalty di 900.000 dollari. Il brevetto, depositato dal gruppo di lavoro di Perotto, fu infatti ceduto alla società per un dollaro: “Il brevetto venne quindi presentato a nome mio e di De Sandre e l’ufficio brevetti dell’Olivetti ci fece presente che dovevamo contestualmente firmare una dichiarazione di cessione alla ditta di tutti i diritti, con una formula di rito, che recitava: “Cedo alla Olivetti, per un dollaro e per altri ragguardevoli motivi, tutti i diritti conseguenti alla invenzione descritta nella domanda di brevetto numero 3.495.222, depositata il primo marzo 1965, a nome di P.G. Perotto e altri, dal titolo: Program controlled electronic computer”. Mai un dollaro fu meglio speso da una società!”.

Il successo della Programma 101 risvegliò gli interessi dei vertici aziendali e permise la riorganizzazione del comparto elettronico con la creazione del Gruppo Ricerca e Sviluppo.