È urgente ritornare a capire.
I cambiamenti della società e del mondo ci impongono una brusca frenata per tornare a capire, mettendo da parte la leggerezza con la quale vediamo – senza neppure guardarli – i titoli dei fatti che accadono e ci circondano, che sfrecciano in un tweet, in un post sui social. E si passa veloci ai successivi, con la pretesa che quel aver visto fugacemente basti per capire e – peggio – per farsi un giudizio onesto.
Dobbiamo tornare a capire, nel senso più vero e profondo del termine; l’essenza delle cose, le ragioni, i contenuti, il perché e il per come certe cose vanno come vanno e quali sono le prospettive future; politiche, sociali, economiche, culturali, religiose, ambientali e altro ancora.
E per tornare a capire è necessario il grande sforzo di smarcarsi dai 280 caratteri di un tweet ampiamente insufficienti, così come lo sono le battute stile “quattro amici al bar” sui social. Questo tipo di comunicazione – che comunicazione non è – non fa capire un bel niente del tempo presente e ancor meno di quello futuro, per non parlare del tempo passato caduto nell’oblio quasi totale.
Da un titolo sfrecciato sui social e da pochi caratteri di un tweet abbiamo imparato a tirare troppe conclusioni, per forza affrettate, superficiali, sovente inappropriate e parziali che diventano pericolosamente giudizi altrettanto affrettati, superficiali, inappropriati e parziali. Ma capaci di condizionarci su argomenti vitali espressi ormai con un linguaggio frutto del lavorio della pancia piuttosto che del cervello.
Per tornare a capire è necessario disintossicarsi da quei social che hanno profondamente modificato il modo di comportarci e ci hanno traghettati dalla bellezza di leggere, ascoltare, guardare e pensare alla leggerezza dell’apparire, dove bastano una foto, due righe sconnesse, un pensiero claudicante, per far sapere agli altri che ci siamo, impauriti dall’oblio e desiderosi di poco altro.
È urgente ritornare a capire per esserci, conoscere, crescere, sperare. Insomma, tutt’altro che un tweet…