I recenti avvenimenti occorsi all’Istituto Penitenziario Minorile “Beccaria” di Milano, con la cronaca che rivela casi di abusi e violenze nei confronti dei giovani detenuti, ci portano a riflettere sul mondo dei minori reclusi nelle carceri italiane.
L’associazione Antigone ha pubblicato a febbraio il settimo rapporto sulla giustizia minorile che si apre con un grido di allarme; 496 minori detenuti, di cui 15 donne, all’inizio del 2024, e in aumento perché “il decreto Caivano” estende la possibilità di applicazione dell’accompagnamento, a seguito di flagranza, e della custodia cautelare in carcere e mette a rischio il percorso di recupero e di riparazione che, soprattutto un minore, dovrebbe vedersi garantito.
Il 51,2% dei minori detenuti in Italia è straniero, e benché gli stranieri commettano reati meno gravi dei minori detenuti italiani, si trovano negli Istituti Penitenziari Minorili in regime di custodia cautelare. Ad aggravare la loro condizione è quasi sempre la mancanza di una rete familiare e sociale in grado di proteggerli, il che pregiudica l’accesso alle misure meno afflittive, come la messa alla prova o i lavori socialmente utili. Solo una piccola parte dei reati commessi sono contro la persona (22,7%), la maggior parte sono contro il patrimonio (55,2%), contro l’incolumità pubblica in percentuale uguale alle violazioni sugli stupefacenti (10,6%).
Il rapporto di Antigone racconta anche di quanti minori, sempre in maggioranza stranieri, abbiano disturbi comportamentali e disagi psichiatrici che vengono gestiti unicamente con terapie farmacologiche. I casi più complessi appena compiono i 18 anni vengono portati nelle carceri per adulti, senza tenere in conto che questo tipo di punizione non giova ad un giovane con ancora tante possibilità di riscossa.
Un sistema detentivo punitivo che deroga la sua missione educativa e riparativa, che cessa di essere un luogo che offre una possibilità di crescita e di riscatto vero, non è solo anacronistico ma danneggia i giovani, toglie loro la speranza di comprendere e riparare il danno commesso e, di conseguenza, impedisce una rapida uscita dal sistema penale.
Il carcere non solo dovrebbe essere l’ultima ratio, ma dovrebbe essere una opportunità per scoprire le regole di una convivenza civile, valorizzando le capacità che i giovani non pensavano di possedere, e che saranno poi utili al reinserimento. Ai minori che commettono un reato vanno forniti gli elementi per riflettere sulle ragioni del loro agire e va fornita un’alternativa che passi anche attraverso la scuola, la formazione, l’impegno concreto.
Per operare un cambiamento nei minori che hanno commesso un reato c’è bisogno della sinergia di tutti gli adulti che gli stanno attorno e che dovrebbero essere un chiaro esempio di legalità, di civiltà e di sguardo orientato verso un futuro di tutela e di fiducia.