(Fabrizio Dassano)
Nacque a Messina il 4 settembre 1811 da Guglielmo e Antonia Spadaro dei Mari, antica famiglia aristocratica. Affidato a precettori privati (dei quali menzionerà solo il filologo Giovanni Saccano che accese in lui la passione per gli autori classici), proseguì gli studi frequentando il corso di giurisprudenza nell’Accademia di Messina, che abbandonò dopo tre anni senza laurearsi. Non ancora ventenne compì un viaggio nelle maggiori città d’arte italiane prendendo contatto con alcuni intellettuali: al ritorno in Sicilia sostenne la causa dell’Unità italiana. Ripresi gli studi, tradusse dal greco e pubblicò sempre a Messina, nel 1834 le Olintiache di Demostene, nel 1835 l’Orazione di Isocrate a Demonico, e nel 1836 il Caronte, dialogo di Luciano.
Entrato nella vita culturale e politica della città, già nel 1833 si era acceso il vivace dibattito anche a Messina attorno a poeti come Alfieri, Foscolo e Niccolini e alla lettura politica che se ne era data. Su questa linea, con Carmelo La Farina ideò e fondò il periodico Lo Spettatore zancleo. La posizione dichiaratamente unitaria assunta dal giornale sospinse i redattori a trattare argomenti e questioni in chiave nazionale e antimunicipalistica, convinti che “Siciliani ed Italiani vuol dire lo stesso, Italiani noi essendo”. Al giornale venne poi affiancato nel 1834 il mensile letterario Il Faro.
Entrato in rotta di collisione con la corrente politica che si basava sull’autogoverno dell’isola e all’aspirazione del ristabilimento dell’antica costituzione, lo scontro si fece più vivace con il foglio palermitano Il Vapore, e altri giornali autonomisti in un dibattito che, alzati i toni, finì per far intervenire l’autorità di polizia che vietò la diatriba. L’elogio funebre del 1836 dedicato a Vincenzo Bellini, dai toni mazziniani della libertà e dell’unità d’Italia venne censurato dal governo borbonico che chiuse il giornale e fece fuggire in Toscana La Farina. Carlo Gemelli rimase in Sicilia per la sua lotta politica. Nel 1837 dopo le rivolte di Catania, Siracusa e Messina, per evitare l’arresto fu costretto a fuggire in Toscana ove rimase fino al 1841 frequentando gli intellettuali dell’epoca. Fu molto amico di Quirina Mocenni Magiotti, che gli mise a disposizione una raccolta di documenti originali per uno studio biografico su Ugo Foscolo: l’opera sarebbe stata pubblicata dieci anni più tardi, insieme con le lettere di Ugo Foscolo e il Frammento della storia di Napoli, con il titolo Della vita e delle opere di Ugo Foscolo. Ottenuto dal governo borbonico il permesso di rientrare in Sicilia, lasciò Firenze, ma giunto a Napoli venne arrestato e rinchiuso in carcere.
Rimesso in libertà, tornò a Messina, ma per allontanarsi presto: era sospettato di essere in corrispondenza con Giuseppe Mazzini. Si diresse dapprima a Palermo, accolto dal principe Granatelli, da Amari e Piraino, e dopo breve tempo si recò a Trapani. Nel 1844 Michele Amari pubblicava il “Vespro siciliano”, violento pamphlet antiborbonico: possederlo poteva costare l’esilio o la prigione. La polizia sospettò che Carlo Gemelli lo volesse diffondere a Messina. Perseguitato, si spostò a Napoli accolto da altri patrioti continuando a corrispondere con quelli di Palermo, in vista di un moto rivoluzionario. Nel settembre del 1847 Messina insorgeva e Carlo Gemelli vi accorse prendendo parte al moto che fu represso nel sangue. Costretto ancora a fuggire, riparò a Malta, dove lo attendeva un esilio molto difficile e dove ai primi del gennaio 1848 lo trovò, malato, Luigi Settem-brini. Il 12 dello stesso mese scoppiava l’insurrezione a Palermo a cui accorse e il 22 marzo fu eletto deputato del Parlamento siciliano e veniva nominato rappresentante del governo siciliano presso il governo toscano, e poco dopo raggiungeva Firenze.
Il fallimento della rivoluzione siciliana lo costrinse a un ennesimo esilio in giro per l’Europa: Inghilterra, Belgio e Prussia. Poi si stabilì in Piemonte, e per qualche anno insegnò storia alla Scuola Militare di Fanteria a Ivrea. Da Ivrea pubblicò a Torino nel 1858 la “Storia della rivoluzione belgica del 1830” che ebbe un successo internazionale e sul medesimo filone scrisse poi la Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49 anch’essa molto apprezzata. Nominato Preside al Regio Liceo Ginnasio nel 1860 nell’attuazione della Legge Casati promulgata nel 1859 che prevedeva tre livelli: superiore (Università), secondaria classica e tecnica e primaria.
Nel settembre Carlo Gemelli fu nominato Preside con Giuseppe Berta per greco e latino, Secondo Fava per fisica, Felice Maglioli per matematica, don Giacomo Pittana per letteratura latina, Carlo Osmondo Galli per storia e geografia e don Giu-seppe Biava per filosofia. Dopo aver scritto una lettera a Garibaldi data a Ivrea il 17 settembre, in cui esortava il generale ad annettere velocemente la Sicilia al Piemonte per togliersi dal clima di incertezza, il prodittatore di Garibaldi, Antonio Mordini lo volle nominare Ispettore degli Studi per la provincia di Messina in vista del plebiscito.
Ma lui volle restare al Liceo eporediese. Quelli che erano stati gli amici del suo predecessore, “el pover Preside”, l’esule Antonio Peretti prematuramente scomparso (vedi il Risveglio Popolare del 4 giugno 2020) ora erano amici suoi e insieme compilavano la “Strenna eporediese per l’anno 1860” raccolta di prose e poesie stampata da Garda. Si trattava di Costantino e Ferdinando Bosio, Luigi Mercantini, Gaetano de Pasquale, Vincenzo Riccardi, Guido Giacosa, il padre di Giuseppe. Già alla vigilia della spedizione dei Mille, nel suo “La Sicilia e il suo avvenire” e pubblicizzato a Ivrea sul settimanale “La Dora Baltea” manifestava tutti i suoi timori per i destini dell’isola ed era nel contempo entrato nel tessuto culturale della città.
Nel 1866 fu nominato regio Provveditore agli Studi di Ancona, poi passò al ruolo universitario prima come vicebibliotecario e poi bibliotecario dell’Uni-versità di Bologna fino al 1882. Fu a Bologna che iniziò ad occuparsi del problema della classe operaia e della questione sociale. Nel 1871 nella sede della Lega per l’istruzione del popolo egli tenne un discorso agli operai di Bologna. In esso affrontava il tema della rigenerazione morale e intellettuale della classe operaia, esaltando il nuovo credo che propugnava la fratellanza e l’uguaglianza universale. Tre anni dopo criticava gli istituti fondamentali della società: famiglia, proprietà, religione e stato e condannava il comunismo.
Giuseppe Carducci, come si legge in una lettera premessa al testo, scrisse di Carlo Gemelli di apprezzare lo “scrittore e il patriota provato”: la nascita e lo sviluppo di tali dottrine vi erano descritte partendo dalla Grecia fino ai tempi moderni. Ribadito il rifiuto del comunismo, auspicava il progresso dell’umanità e la rimozione degli antagonismi in quanto elementi di perturbazione sociale, a patto però che non si distruggessero valori fondamentali come la famiglia e la proprietà. Più che a un conflitto di classe o a una lotta del lavoro contro il capitale, nel suo socialismo umanitario pensava a un’opera costante di rigenerazione della società, per migliorare le sorti del popolo, sconfiggerne l’ignoranza ed elevarne la mente.
Dimenticato dalla classe politica della nuova Italia ebbe incarichi via via più modesti; lasciata nel 1883 la Biblioteca di Bologna, venne trasferito all’Estense di Modena, e da ultimo alla Braidense di Milano dove rimase a lavorare fino a 74 anni ma sempre in ristrettezze che non lo portarono mai a lagnarsi della sua storia. Nel 1885 chiese il congedo e morì di infarto l’anno successivo a Bologna il 1° aprile 1886.