(Fabrizio Dassano)
Spesso siamo portati a pensare che l’universo marinaresco sia così lontano dal Piemonte e dal Canavese perché regione votata in massima parte al culto alpino. Eppure questo luogo comune è facile da smontare: Giorgio Andrea Agnès Des Geneys, nacque a Chiomonte in Val di Susa nel 1761. A 14 anni come guardia marina di seconda classe, prese parte alla sua prima crociera contro i pirati Barbareschi che infestavano il Mediterraneo.
Nel 1790 gli fu affidato il comando del porto di Cagliari. Nel 1793 partecipò con gli Inglesi all’assedio di Tolone contro la Francia repubblicana. Caduto prigioniero coi superstiti della fregata Alceste, nel corso della battaglia delle isole Hyères; riacquistò la libertà dopo l’armistizio di Cherasco nel 1796. Preposto alla difesa di Oneglia, per diversi mesi tenne testa alle preponderanti forze francesi e della Repubblica ligure; ma nel dicembre 1798 dovette abbandonare l’ultima piazza del regno sardo sul continente, e raggiungere la corte sabauda in Sardegna. Qui gli fu affidata la difesa dell’isola, mèta di continue incursioni da parte dei corsari africani, particolarmente in seguito alla partenza dal Mediterraneo della flotta inglese di Nelson.
Con la Restaurazione ebbe la carica di governatore di Genova e il comando di tutta la marina militare sarda. Morì in quella città nel 1839.
Più vicino a noi resta l’Abate Tommaso Valperga di Masino e di Caluso, fratello minore di Carlo Francesco che fu vicerè di Sardegna. Figura eminente della cultura sabauda tra Sette e Otto-cento, ebbe una prima esperienza nella marina da guerra: salpato per l’isola di Malta il 31 dicembre 1749, divenne paggio del Gran Maestro dell’ordine Gerosolomitano fino al dicembre del 1750 per poi tornarvi tra il 1759 e 1761. Qui studiò il greco,
l’ebraico e le lingue orientali in genere, poi si interessò di matematica, astronomia e scienze, divenendo esperto navigatore. Il 1° gennaio 1759 Tommaso Valperga divenne “Padrone di Galera” del re di Sardegna, ma dopo un anno e mezzo abbandonò il mare per vestire la talare dei padri Filippini e iniziare una straordinaria carriera intellettuale.
Tra le molte figure legate al mare, spicca quella del torinese Benedetto Brin (1833 – 1898), il più potente ministro della marina mai avuto in Italia, oppure quella del castellamontese Giacinto Pullino (1837 – 1898) noto soprattutto per aver ideato il primo sommergibile italiano, il Delfino a cui partecipò pure il cognato, il sangiorgese Carlo Vigna. Quest’ultimo era nato nel 1838 da Defendente, ingegnere al servizio dei “Regi canali Vercellesi” e da Michelina Picatti. Fu tenuto a battesimo nella Parrocchia di Maria Vergine Assunta in San Giorgio da don Divizia. Padrino fu il notaio Carlo Francesco Picatti e madrina Lucia Craveri di Roma, rappresentata in San Giorgio da Lucia Maddalena Pechenino. Studiò al Collegio di Ivrea che poi divenne il Liceo “Carlo Botta” conseguendo ottimi risultati.
A Ivrea risiedeva presso il Piccolo Seminario. Proseguì gli studi a Torino dove da pochi anni esistevano due facoltà separate, di belle lettere e filosofia e di scienze fisiche e matematiche.
Compiuti gli studi ingegneristici, vinse insieme al futuro cognato Giacinto Pullino, un concorso bandito dalla regia marina sarda per la carica di ingegnere navale e si trasferì a Genova ove fu anche professore di tecnica navale all’Istituto marittimo. Qualche tempo dopo fu nominato direttore degli arsenali marittimi di La Spezia, Napoli, e Venezia. fece spesso parte di commissioni tecniche e missioni navali in Francia e in Inghilterra. Fu membro della giuria nell’esposizione nazionale di Torino nel 1884, responsabile della sezione marittima.
Fu anche richiesto dal governo ellenico come consulente per il miglioramento tecnico del naviglio e dell’arsenale. Con grande lavoro e per molti mesi, visse ad Atene, ma il suo lavoro portò effettivi miglioramenti e visioni sulla tecnica moderna di navigazione. Quando riuscì a licenziarsi, fu insignito da quel governo della sua più alta decorazione greca: l’Ordine del Redentore. A questo punto Carlo Vigna era pronto per dedicarsi all’ammodernamento generazionale delle navi della regia marina, dopo la disastrosa sconfitta di Lissa del 1866. Quasi una sorta di rivincita morale, come per vendicare il proprio compaesano, l’onorevole Pier Carlo Boggio che morì nell’affondamento del Re d’Italia durante la battaglia navale contro il nemico di sempre, l’Austria in Adriatico.
Boggio poco prima di scomparire tra i flutti, fu visto con calma impassibile scaricare il suo vecchio revolver mentre reggeva il monocolo, contro la massa della nave ammiraglia del giovane ammiraglio von Tegetthoff che al comando della pirofregata corazzata Erzherzog Ferdinand Max speronava trapassando letalmente il fasciame dell’unità italiana ormai immobilizzata.
Carlo Vigna fu membro del Comitato dei disegni per le navi e membro della stragrande maggioranza di tutte le commissioni superiori navali con il grado di ispettore del genio navale, l’apice della gerarchia. La carriera politica di Carlo Vigna si ebbe con il suo primo ingresso alla Camera dei deputati nel collegio elettorale di Caluso nella XIV legislatura, ma il 9 dicembre 1880 fu sorteggiato come “eccedente” della categoria dei deputati che avevano una professione. Due anni dopo fu nuovamente eletto come rappresentante alla Camera del V collegio di Torino con un programma di stampo liberale, collocato nell’alveo dell’allora centro-sinistra, con l’ovvia promessa di fedeltà al proprio ministero ma con riserva di valutare la bontà delle opere, affermando la propria indipendenza.
Sollecitò l’intervento di soccorso per le popolazioni colpite dalle anomale valanghe nelle Alpi con oltre 200 morti nelle province di Torino e Cuneo. Vigna richiese al governo l’invio delle truppe alpine in soccorso, nell’interrogazione fatta al presidente del Consiglio dei ministri della Corona il 24 gennaio 1885. I suoi discorsi alla camera furono in prevalenza tecnico-militari ma fu sempre acceso fautore dell’industria nazionale e contro l’importazione dell’acciaio. Membro della giunta di bilancio, fu relatore di quello della marina sostenendone la discussione alla Camera. Quando morì lasciò l’anziana madre quasi ottantenne e la moglie Gemma Davicini.
Carlo Vigna morì dopo una dolorosa malattia ad appena 52 anni nel 1890 a Roma, mentre era in carica anche come deputato del collegio elettorale di Ivrea-Aosta. Carlo Vigna disegnò quello che passerà alla storia come il primo incrociatore italiano a vela e a motore, il Flavio Gioia varato nel 1881 mentre la gemella, l’Amerigo Vespucci fu completato nel 1883.
Arrivava a dislocare 2.751 tonnellate a pieno carico. La lunghezza raggiungeva i 78 metri (84,50 metri fuori tutto), la larghezza era di 12,78 metri e l’opera viva in immersione era di 5,19 metri. Il motore era costituito da una motrice a vapore alternativa orizzontale Ansaldo alimentata da 8 caldaie a carbone che erogava una potenza di 4.156 hp che in linea d’asse forniva la potenza ad un’unica elica. Dal 1893 fu trasformata in nave scuola dell’Accademia navale e restò in servizio fino al 1931 per poi venire sostituita dall’attuale omonima ancora in servizio.
Tutte le sue 18 navi progettate e realizzate gli sopravvissero e le ultime parteciparono alla Prima guerra mondiale. Ebbero compiti operativi nel Mediterraneo, nell’Egeo e nel Mar Rosso nell’ambito dell’espansione coloniale e nella guerra contro l’Impero ottomano. Alcune unità furono impegnate per appoggiare la grande comunità italiana in Sud America.
Originale e innovativo fu il suo disegno e la sua produzione fu di complemento alle grandi corazzate di Benedetto Brin, suo grande tutore.