Mercoledì 1° novembre, prima a Chivasso e poi a Castellamonte (dove era presente anche il vescovo monsignor Edoardo Cerrato), si sono tenuti due incontri organizzati dall’Ufficio Catechistico Diocesano guidato da don Valerio D’Amico: principale relatore di entrambi è stato don Francesco Vannotti responsabile dell’Ufficio Scuola e Catechesi della Diocesi di Como e autore del libro rivolto agli educatori degli adolescenti “Mission possible”.

Davvero numerosi e illuminanti sono gli spunti forniti da don Vanotti, che in primo luogo ha invitato tutti, catechisti ed educatori “insieme”, ad accogliere i giovani secondo una prospettiva “comunitaria”, perché è l’intera comunità cristiana a doversi occupare di ragazzi e adolescenti, anzitutto adottando verso di loro uno “sguardo differente”, superando anche pregiudizi ormai invalsi. Dall’esame di alcuni testi del Centro Studi della famiglia dell’Università Cattolica di Milano, contenenti interviste di adolescenti di diverse regioni, dall’indagine emerge come i ragazzi siano alla ricerca di valori importanti: la ricerca di una comunità, di una fraternità, della solidarietà, dell’aiuto reciproco, del mutuo sostegno e – non ultima – la ricerca della fede.

Seppur diversi dagli adolescenti di un tempo, i ragazzi oggi sono principalmente alla ricerca di relazioni “significative”: l’indagine rivela che le “relazioni” più importanti siano nell’ordine quella con i genitori (quelli di cui si fidano di più, anche se non lo ammettono), poi con i coetanei, gli educatori e gli insegnanti.

Altrettanto interessante è l’indagine del 2017 della Pastorale Giovanile lombarda regionale sul pensiero degli adolescenti nei confronti della Chiesa: il 31% degli intervistati la riteneva non interessata ai loro bisogni, il 39% disposta all’ascolto ma solo per imporre delle regole, soltanto l’1% riconosceva significativa la figura del parroco e viveva l’esperienza dell’oratorio.

Il 36% si dichiara oggi credente, ma più “per tradizione” (e questo è importante perché ci permette di portare avanti una sensibilità) che per scelta: infatti, se nel 2013 il 20% dei ragazzi frequentava una volta alla settimana, nel 2016 la percentuale era scesa al 14% e oggi la percentuale è verosimilmente ancora diminuita.

La fede nasce dalla relazione

Per domandarci quale annuncio proporre ai nostri ragazzi dobbiamo allora tenere in considerazione chi essi sono realmente, non chi desidereremmo fossero”, ha avvertito don Francesco, citando poi una ricerca fatta in Canada del 2019 con gli adolescenti (tra i 14 ai 20 anni) sulla loro relazione con la fede, con Gesù Cristo, chiamata proprio “La fede nasce dalla relazione”: perché la loro esperienza di fede è determinata dalla relazione che hanno con le loro figure di riferimento, gli educatori, i Sacerdoti, gli insegnanti, quelli che loro definiscono i loro “testimoni”.

Dallo studio emerge che per i ragazzi di oggi la fede nasce dalla relazione: è determinante per un accompagnamento nella fede la relazione tra gli adulti, tra di noi o con le famiglie dei ragazzi, ma in particolare quella costruita con gli stessi adolescenti. La relazione fa profondamente la differenza in un percorso di fede, come dimostrato anche a livello scientifico, e questo ci consente di trarre delle conseguenze importanti, perché questo è il vero problema delle nostre comunità: quello di avere degli educatori e ‘accompagnatori’ che abbiano davvero a cuore i ragazzi, che si prendano cura di loro. Perché non è importante quello che noi possiamo fare con loro: l’essenziale è impostare una relazione empatica con i ragazzi, altrimenti non accade niente”.

Accompagnare in un tempo di rinascita

Se la Chiesa del Canada vive una realtà di primo annuncio, anche noi possiamo ripartire dal kerygma, come afferma Papa Francesco: la necessità del primo annuncio che Cristo ti ama, è il Figlio di Dio e ha dato la vita per salvarti e ora ti è accanto ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti e liberarti, per tracciare il tuo cammino. Un primo annuncio, quindi, da ridire, da declinare nella pastorale, nella catechesi”. Secondo don Vannotti, “si tratta di ripartire dal nucleo della fede, dall’essenziale, dall’obiettivo che è quello di annunciare Gesù Cristo, ma pensando a come renderlo significativo per la loro vita, in un tempo delicato di non equilibrio, a livello psico-pedagogico, in cui l’adolescente è un esploratore, sempre alla ricerca di qualcosa”.

È una sfida non semplice: purtroppo dopo la Cresima, nonostante anni di formazione, pochi rimangono. Ma se l’adolescenza è il tempo del “non equilibrio” in cui i ragazzi mettono in discussione tutto e si pongono delle domande di senso quali “Perché la fede è importante per me?”, allora può esserci lo spazio per ribadire l’urgenza del messaggio cristiano.

Da un punto di vista psico-pedagogico l’adolescenza è chiamata anche “seconda nascita”: è come se si tornasse indietro e fosse necessaria una ripartenza, quindi, i ragazzi hanno bisogno di essere accompagnati con il primo annuncio, per riscoprirlo con loro, ma con un annuncio significativo, adatto, in base alla loro età. “Purtroppo le nostre realtà parrocchiali fanno fatica a proporre percorsi di accompagnamento post-Cresima, anche per l’assenza di figure di riferimento che abbiano il desiderio di prendersi cura dei ragazzi, di stare con loro. L’attenzione pastorale è focalizzata sugli itinerari di Iniziazione Cristiana, molto di meno sugli adolescenti, mentre è fondamentale esprimere adulti, giovani che desiderino stare con loro, perché questo è determinante trovare persone che stiano con loro e creino una relazione, perché – va ribadito – la fede nasce da una relazione”.

E, in effetti, “l’esperienza ci insegna che la presenza di qualcuno disponibile a stare con i ragazzi fa la differenza: in quelle realtà dove sanno che ci sono persone che si prendono cura di loro, i ragazzi ci sono; là dove si propongono percorsi di fede, dove si aprono gli oratori per loro, i ragazzi ci sono!”.

Quale annuncio per i ragazzi?

Una volta “agganciati” gli adolescenti e instaurata con loro una relazione di fiducia, come annunciare loro la salvezza di Cristo? Il metodo è quello che ci viene dato da Gesù stesso nell’incontro con i discepoli di Emmaus: Cristo si mette in cammino con loro, li accompagna e si mette in ascolto delle loro domande. Occorre quindi partire dai loro bisogni, perché l’esperienza di fede si innesta nel vissuto dei ragazzi che si intrecci al nostro. Perché l’annuncio risulti significativo occorre calarlo nella loro esperienza di vita, per cogliere la presenza di Dio nella loro e nostra esistenza.

Il linguaggio è importante, ma molto di più lo è l’esempio: l’accompagnatore è un testimone credibile se consegna la propria esperienza di fede quotidiana e concreta, “perché i ragazzi ci giudicano in base alla testimonianza di Cristo che diamo, non tanto con le parole ma con quello che viviamo – dice don Vannotti -. Ecco perché la proposta di un percorso di fede che si fonda sull’annuncio deve prevedere esperienze di comunità, di fraternità, di solidarietà, esperienze di vita comune dei giovani, come già avviene in certi luoghi in Italia. Perché l’adolescente ricerca le relazioni: il suo è il tempo delle relazioni, il tempo della rielaborazione per le scelte di vita e noi come comunità dobbiamo sostenerli nell’elaborazione del loro progetto di vita, di cosa fare da grandi. Ecco perché ribadisco che dobbiamo ‘stare con loro’, perché questa è la grande differenza che produce un risultato nell’accompagnamento”.

Vivere la mistagogia con gli adolescenti

Il Direttorio per la catechesi del 2020 pro[1]pone uno “stile mistagogico” anche nell’accompagnamento dei preadolescenti e degli adolescenti: “La catechesi come iniziazione mistagogica inserisce i credenti nell’esperienza viva della comunità cristiana, che è il vero luogo della vita di fede. Questa esperienza formativa è progressiva, dinamica, ricca di segni e di linguaggi, favorevole per una integrazione di tutte le dimensioni della persona”.

La mistagogia nell’antichità era il tempo in cui celebrati i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana per una settimana ci si riappropriava del significato di ciò che era stato celebrato.

La mistagogia ancora oggi ha questo significato in alcuni progetti diocesani: essa è il tempo dedicato alla fase dei preadolescenti, dove, terminata la fase dell’Iniziazione Cristiana, si fa fare esperienza di quello che viene celebrato.

Vengono riflettute e fatte vivere delle esperienze di vita cristiana, quindi, laboratori della fede in cui loro vivono da protagonisti.

I Grest e i Centri Estivi sono momenti in cui spesso riaccogliamo ragazzi che non sono più venuti in Chiesa dopo la Cresima, ma tuttavia vengono coinvolti. Gli adolescenti, però, devono essere visti come soggetti protagonisti, valorizzando quelle che sono le loro proposte, perché in quel momento incontriamo il loro desiderio, il loro vissuto”.

Il Papa ci invita a “far nascere una domanda di fede”, senza darla per presupposta, e allora la creatività dell’accompagnatore è quella di suscitare o esprimere una domanda di fede, rileggendo magari le loro domande esistenziali trasformandole nella prospettiva evangelica. Ricette facili non ce ne sono, ma anche in quel caso occorre andare oltre il manuale delle istruzioni, perché ci vuole una pedagogia che sia nella prospettiva del “Vieni e vedi” (la stessa di Gesù con i discepoli), offrendo di vivere una esperienza di fede nell’accompagnamento di tipo comunitario.

Una catechesi e una pastorale giovanile in profonda sinergia sono molto importanti, sia a livello parrocchiale, che a livello di Uffici diocesani, ma anche nelle nostre comunità, dove resta fondamentale la continuità della relazione nel progetto formativo di fede: un progetto che riguarda ed è davvero vitale per tutta la comunità cristiana”, ha concluso don Francesco.

Elsa Feira

 

Redazione Web