(Fabrizio Dassano)
Un grande cantiere di restauro delle facciate del castello di Azeglio è giunto al termine lo scorso anno e lo scorso dicembre, a testimonianza dell’imponente lavoro eseguito, è stato pubblicato un volume-resoconto dal titolo “Il restauro del castello di Azeglio, secoli XIII – XXI”, un’opera di 118 pagine, eminentemente fotografiche, suddiviso nei seguenti capitoli: la storia del castello, lo stato di fatto prima dei restauri, il progetto e il cantiere e fine lavori.
Un castello che si presenta oggi come “il risultato architettonico di diverse fasi costruttive e di restauri, dovuti a modifiche e trasformazioni che nel corso dei secoli le diverse proprietà hanno operato, pur senza snaturare la sua destinazione d’uso, quale residenza di campagna.” Una storia che parte dal XIII secolo quando Azeglio era feudo dei marchesi Ponzone, discendenti dei marchesi di Monferrato, possessori di terre in Piemonte e in Liguria. Nel 1345 giurarono fedeltà ai Savoia e poi furono impegnati a contrastare le scorrerie del condottiero Facino Cane che con quattrocento uomini aveva occupato anche Azeglio in nome dei Marchesi di Monferrato funestando il Piemonte fino ai primi anni del ‘400.
Nel 1435 cedettero il feudo al duca Amedeo VIII di Savoia che divenne antipapa con il nome di Felice V, primo Savoia ad ottenere dall’Imperatore Sigismondo il titolo ducale. Tra alterne vicende il maniero, legato alla politica familiare sabauda, passò nel 1725 attraverso il matrimonio di Teresa Onoria d’Azeglio e di Montanera con il conte Giuseppe Lorenzo Tapparelli di Lagnasco, gli avi di di Cesare Tapparelli d’Azeglio che sposatosi con Cristina Morozzo di Bianzè ebbe Roberto e Massimo d’Azeglio, figura emblematica del Risorgimento italiano.
Il successivo passaggio di proprietà alla famiglia d’Harcourt avvenne tra Gilda Teresa Ponzone vedova Vacca di S. Michele che in seconde nozze si congiunse con Aresmino conte d’Harcourt di Fiano. Tra i figli, Giuseppe Ignazio Achille (1812 – 1892) ereditò la parte del castello dei d’Azeglio di proprietà d’Harcourt. cognome che venne cambiato “alla francese” soltanto nel XIX secolo, mentre la forma originaria era Archatoris o Archator nei documenti in latino, mentre in volgare era Arcour o Arcore. Da non confondersi quindi con Enrico di Lorena dei conti d’Harcourt, noto come “Cadet la Perle”, condottiero francese che pose l’assedio di Torino nel 1640 e di Ivrea nel 1641 per conto del re di Francia contro i principi Tommaso e Maurizio di Savoia durante la guerra civile.
Massimo d’Azeglio trascorse alcuni soggiorni al castello, nel luglio del 1831 dopo il matrimonio con Giulia Claudia Manzoni, figlia del celebre Alessan-dro, quando scrisse il ro-manzo storico cavalleresco “Ettore Fieramosca” ponendo le basi delle figure storico-letterarie nazionali del Risorgimento. Nel soggiorno del 1832 vi fu anche Alessandro Manzoni e famiglia al seguito. Massimo venderà la propria parte del castello al conte Giuseppe d’Harcourt il 4 settembre 1839.
La pubblicazione illustra nel dettaglio lo studio iconografico del castello – necessario al progetto di restauro – avvalendosi delle opere a penna e acquerello proprio di Massimo d’Azeglio che ritraeva il maniero negli anni dei suoi soggiorni rivelando le tonalità delle facciate, utilizzate nel restauro odierno.
Purtroppo il dipinto ad olio e quindi a colori che egli realizzò nel 1832 “Villa d’Azeglio presso Ivrea” conservato a Milano venne distrutto nei bombardamenti aerei alleati della pinacoteca di Brera dell’8 e del 31 agosto 1943. Altre illustrazioni ottocentesche sono state studiate attentamente per il restauro: quelle di Pietro Antonio Bagetti, Enrico Gonin e Clemente Rovere e quella dell’interpretazione cromatica di Adriana Costamagna utilizzando il medesimo colore degli acquarelli di D’Azeglio. Dopo la vendita ai d’Harcourt il castello assunse la nuova fisionomia del palazzo neogotico inglese dell’Ottocento, fu abbattuta la torre medievale e fu costruita la nuova manica in stile neorinascimentale e la facciata arricchita venne arricchita con formelle in cotto disegnate da Ferdinando Cocito.
Con l’erezione della nuova monumentale parrocchiale, collegata al castello da due ponti, e la costruzione a carico dei d’Har-court del nuovo municipio con porticato, intorno al 1860, che ricalca gli stilemi anglosassoni del castello, Azeglio visse una straordinaria stagione urbanistica di alto livello che si conserva ancora oggi. Purtroppo non sono molti i documenti perché un furioso incendio nel 1976 devastò una parte del castello e distrusse la biblioteca storica. Lunga la lista dei crediti: dall’architetto Cristina Natoli, al dottor Edoardo Bodo, Sisto e Luisella custodi della memoria del complesso, Silvano restauratore delle opere lignee, le maestranze e i collaboratori dell’impresa Callegaro e naturalmente la committenza, il dottor Fabio Montauti d’Harcourt.
La direzione e progettazione dei lavori è stata assunta dagli architetti Alberto Comerro e Federica Badino, consulente strutturista l’ingegner Francesco Ravizza, la consulenza storica della dottoressa Carlotta Venegoni, l’architetto Guido Olocco coordinatore della sicurezza, il restauratore e consulente degli apparati decorativi il professor Riccardo Moselli, l’architetto Massimo Ferranti direttore generale del cantiere e Silvano Camele direttore tecnico del cantiere. Il volume è stato realizzato sul progetto di Andrea Brunazzi – Brandguru e impaginato da Federica Cresto ed Elisabetta Pozzo, testi a cura di Federica Badino, Carlotta Venegoni, Piergiuseppe Menietti, Guido Olocco e Alessandro Callegaro. Le immagini sono di Dario Prodan e Archivio Callegaro ed è stato stampato per i tipi delle Arti Grafiche Parini Tipo Stampa di Moncalieri.