Ripubblichiamo l’articolo apparso la settimana scorsa, ma opportunamente corretto.

(Cristina Terribili)

Le scuole si stanno avviando alla chiusura estiva e lasciano il posto ai centri estivi che accoglieranno i bambini delle diverse fasce d’età.

Come saranno i centri estivi quest’anno? Si possono ipotizzare 3 parole d’ordine su cui orientare operatori e tecnici impegnati l’estate con i bambini?

Durante la pandemia da Covid abbiamo parlato di come ai bambini servisse recuperare una dimensione relazionale, di come fosse utile stare all’aperto, approfittando delle indicazioni della outdoor education. Tutto questo è valido anche ora?

Questo anno scolastico ha visto l’arrivo di molti bambini stranieri dall’Afghanistan, all’inizio dell’anno scolastico, dall’Ucraina, nel mese di febbraio. Questo impone che la prima parola d’ordine sia “inclusione”. L’inclusione, usata nell’ambito della scuola, è stata spesso associata al mondo della disabilità e, in quel contesto, non sempre si sono potute apprezzare la messa in atto di buone pratiche per il riconoscimento e la valorizzazione di tutte le differenze umane.

Per questo l’inclusione supera gli ostacoli della disabilità e si espande verso le genialità, verso le differenze culturali e linguistiche, verso le differenze sociali ed economiche, e questo, per gli educatori in generale, è stato il lavoro che Dario Ianes, professore ordinario di pedagogia e didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano spesso in collaborazione con Andrea Canevaro, professore emerito dell’ Università di Bologna recentemente scomparso, ha da sempre portato avanti e questo è uno degli obiettivi cardine per l’estate 2022.

Per fare in modo che la parola inclusione non rimanga un concetto avulso dalla pratica quotidiana, in un centro estivo significa creare, attraverso il gioco, attraverso i diversi laboratori, relazioni solidali tra compagni di scuola perché la cooperazione, il dialogo costruttivo la partecipazione attiva, fanno crescere spontaneamente il riconoscimento dell’altro diverso da me ma con eguale valore e quel senso di protezione e di appartenenza che permette la crescita psicologica di tutti i ragazzi.

La seconda parola d’ordine, collegata alla prima è “alfabetizzazione emotiva”. Solo riuscendo ad esprimere correttamente le proprie emozioni e i propri pensieri si riesce a stare con gli altri.

La scuola non sempre riesce a dedicare il giusto tempo al dialogo con i ragazzi; non si riesce ad avere la possibilità di riflettere abbastanza sulla comunicazione efficace ed assertiva. Il mondo social, soprattutto quello a maggiore appannaggio dei più giovani è sempre pronto ad promuovere modi ignobili per prendere di mira le persone più fragili; atti di bullismo, più o meno evidenti si continuano a vedere continuamente, segno che la lotta a queste modalità violente e prevaricanti non è ancora conclusa.

Saper esprimere le proprie emozioni, saper ascoltare le emozioni di un altro garantisce la possibilità di comprendersi, al di là di ogni genere di differenza e consente l’ampliamento delle competenze empatiche, utili a consentire una riflessione sull’altro fuori da ogni giudizio.

La terza parola d’ordine potrebbe essere “ecologia” riferendoci all’interconnessione con l’ambiente, ma anche ad un ordine, al una pulizia della mente, alla necessità di rinnovare, di fare spazio, di liberarsi dalle tossine ma anche di recuperare risorse.

Il centro estivo può essere un bel laboratorio dove il prendersi cura, della propria persona ma anche del proprio ambiente (del giardino in cui si gioca, per esempio) diventa veicolo per la condivisione di valori comuni, in grado si saldare quel patto di reciprocità con il territorio, con il contesto che ci accoglie. Ecologia significa anche rispetto per la comunità, qualità della vita, sensibilizzazione al bello.

Ricucire il tessuto sociale, incrementare lo spirito di appartenenza, favorire la resilienza dell’intera comunità dei giovani sono alcuni tra i più naturali antidoti al vandalismo, alla discriminazione, alla mancanza di equità.

Il centro estivo diventa un luogo dove si possono sperimentare nuovi modi per diventare grandi, giocando, divertendosi, imparando che esiste un modo “altro” di mettersi in relazione con l’altro. Per questo bisogna battersi che i centri estivi siano curati da persone non solo competenti nella stesura di un programma di attività, ma in grado di rendere quotidiano un cambiamento nella vita di un bambino, assumendosi la responsabilità della crescita di un futuro adulto.

Il professor Dario Ianes, ordinario di pedagogia e didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano, non è “recentemente scomparso” come erroneamente era scritto nell’articolo che aveva per titolo “Inclusione, alfabetizzazione emotiva, ecologia: tre parole d’ordine per i centri estivi”, alla pagina 2 del numero del 2 giugno scorso, nella rubrica “Testa e cuore” a firma di Cristina Terribili.
Lo spiacevole incidente è avvenuto per una disattenzione in fase di redazione dell’articolo; è saltato infatti il nome del professor Andrea Canevaro, emerito dell’Università di Bologna, deceduto il 26 maggio scorso. Infatti, parlando di integrazione scolastica, come faceva l’articolo in questione, non si poteva non fare riferimento agli scritti dei due professori, che congiuntamente avevano curato anche alcune pubblicazioni sull’argomento. Purtroppo però il riferimento al professor Canevaro è stato omesso, attribuendo al professor Ianes una condizione che evidentemente non gli appartiene.
Ce ne scusiamo con l’interessato (cui speriamo di aver almeno allungato la vita!), con quanti lo conoscono e lo frequentano e con i nostri lettori.