(Mario Berardi)

Il cambio Conte-Draghi a Palazzo Chigi ha messo in crisi i tre partiti dell’alleanza giallo-rossa. Leu (dato al 3% nei sondaggi) è diviso tra i “governisti” di Speranza-Bersani-D’Alema e gli oppositori di Sinistra Italiana (Fratojanni). Il M5S (17%) ha perso l’area intransigente e movimentista (Di Battista, Casaleggio) e si è collocato – su iniziativa del fondatore Beppe Grillo – in un perimetro di centro-sinistra, ambientalista, europeista critico, con la guida dell’ex premier Conte: un partito post-ideologico, disponibile ad alleanze di governo.

Il Pd (16-17%) subisce lo choc delle dimissioni improvvise del segretario Nicola Zingaretti, che si è “vergognato” della sua classe dirigente. Probabilmente i tre partiti sono passati troppo rapidamente da una collocazione governativa all’altra, dando esclusivamente l’immagine di un attaccamento al potere; meglio sarebbe stato partecipare all’Esecutivo Draghi con tecnici di area. Ma le ragioni profonde della crisi vengono da lontano: in particolare il M5S ha vinto le elezioni politiche mettendo insieme spinte diversissime, dall’opposizione al sistema alla ricerca di un maggior ruolo per il Sud con una svolta di governo.

Ancora più complesso è il travaglio del Pd. In 13 anni di vita i Dem hanno cambiato quattro segretari (Veltroni, Bersani, Renzi, Zingaretti) e tre reggenti (Franceschini, Epifani, Orfini). La proposta Prodi-Veltroni-Rutelli di un amalgama tra le culture di riferimento (liberaldemocratica, cattolico-democratica, marxista) non è finora approdata a uno sbocco unitario; in altre parole non è riuscita. I liberaldemocratici hanno puntato sul successo dell’economia di mercato; catto-dem e socialisti hanno insistito sul ruolo dello Stato contro le ingiustizie, le diseguaglianze, la povertà, ma si sono divisi sui temi etici (aborto, gender, eutanasia…).

Le tre componenti sono state unite nella difesa delle istituzioni repubblicane e nella scelta europeista, esprimendo ai vertici il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il commissario UE all’Economia Paolo Gentiloni, il presidente dell’Assemblea di Strasburgo David Sassoli. Ma questo non è bastato a fermare il declino.

E anche la riforma elettorale divide, tra fautori del ritorno al proporzionale della prima Repubblica e sostenitori del maggioritario (ma dove andrebbe il Pd con sondaggi che attribuiscono quasi il 50% al destra-centro?). I Dem, che hanno subìto due scissioni (a sinistra con Bersani, a destra con Renzi), hanno anche registrato un significativo cambio nel mondo editoriale: l’autorevole quotidiano della sinistra “la Repubblica”, fondato nel ‘76 da Eugenio Scalfari e sponsor del “compromesso storico”, è ora schierato su una linea apertamente liberal-democratica con il passaggio di proprietà dal Gruppo De Benedetti alla Exor della Famiglia Agnelli-Elkann. Non sarà dunque né facile né breve il lavoro della prossima Assemblea nazionale, qualunque sarà il nuovo segretario del Pd.

Sul fronte del destra-centro è invece riapparso il fantasma degli euro-scettici e sovranisti, con un obiettivo stop al tentativo del ministro Giorgetti di portare la Lega nell’ambito del PPE della Merkel, avvicinandosi al disegno di Draghi. La fuoriuscita dai Popolari del leader ungherese Orban, sovranista e autoritario, ha spinto Salvini e la Meloni a rincorrerlo, ricollocando il 40% della politica italiana su una posizione conflittuale con Bruxelles, nel momento in cui l’UE è sempre più indispensabile per l’Italia per il Recovery-plan e la politica dei vaccini.

Tra le fragilità del centro-sinistra e la tentazione sovranista di buona parte del destra-centro, Mario Draghi appare come l’unica alternativa credibile nel solco dell’europeismo e dell’alleanza occidentale; ma la permanente crisi della politica rende più solitaria l’esperienza governativa dell’ex Presidente della BCE.

Intanto, a causa della pandemia, le elezioni amministrative sono state rinviate al 10 ottobre: così si evitano anche nuovi conflitti tra l’eterogenea squadra di governo, lasciando un doveroso spazio sia al rilancio della campagna vaccinale sia al varo urgente del Recovery-plan. Peraltro le notizie sul voto nei Comuni confermano il distacco politico con Roma. Emblematico il caso di Torino, spesso città-laboratorio, dove la campagna elettorale si svolge essenzialmente su tematiche personali: nel centro-sinistra il capogruppo al Comune Lo Russo contro il mago dei trapianti Salizzoni, nel destra-centro l’imprenditore Damilano contro l’imprenditrice Porchietto.

Siamo tornati al sistema dei piccoli Comuni di Provincia. Basterà per il rilancio?