La mostra “Ciak, si scala!”, prodotta dal Museo nazionale della Montagna di Torino, viene presentata da Iren fino al 18 settembre (da lunedì a venerdì dalle 13,30 alle 17, sabato e domenica dalle 9 alle 12 e dalle 13,30 alle 17) nello spazio espositivo della Casa Alpina, presso la diga di Ceresole Reale, in occasione del centenario del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Dopo l’allestimento a Trento in occasione del 70° anniversario del Trento Film Festival, la mostra è giunta in Piemonte con un doppio allestimento.
La sezione principale è visitabile al Museo a Torino, nel maggiore spazio dedicato alle esposizioni temporanee, mentre la sezione distaccata di Ceresole è aperta ai visitatori già da inizio luglio.
Dal primo film di alpinismo al cinema digitale del nuovo millennio, passando per film a soggetto e riprese di documentazione, lungo un arco di tempo di 120 anni, tanti quanti ne conta la filmografia che ha avuto tra i protagonisti le montagne e l’arte di scalarle fin dalle origini.
L’esposizione – a cura di Marco Ribetti, vicedirettore del Museomontagna e conservatore della sua Cineteca storica e Videoteca, con testi di Roberto Mantovani, giornalista e storico dell’alpinismo – presenta manifesti originali e foto di scena selezionati tra i circa 8 mila beni del Fondo Documentazione Cinema delle raccolte iconografiche Museomontagna, e sequenze di film dalla sua Cineteca storica e Videoteca, che ne conserva circa 4 mila.
È quasi scontato dirlo, ma sarebbe stato un vero peccato se nessuno di quei film fosse stato proposto alla visione del pubblico.
Ecco dunque che al PalaMila, sempre con inizio alle 18,30, sono stati presentati tre interessanti appuntamenti.
Lunedì 8 con “Everest Sea to Summit” di Michael Dillon, vincitore della Genziana d’Oro al Trento Film Festival nel 1993: un film di alpinismo, ma soprattutto di esplorazione in cui viene narrata un’impresa apparentemente impossibile, ovvero raggiungere la cima dell’Everest partendo a piedi dalla Baia del Bengala, in India.
Quello di Tim Macartney-Snape è un viaggio di oltre 800 chilometri, percorsi insieme alla moglie Ann Ward, attraverso il fascino delle strade indiane, il caos e l’inquinamento di Calcutta, il Gange, la frontiera con il Nepal, i contrafforti himalaiani, il ghiacciaio del Khumbu.
Mercoledì 17 è stata la volta di “Finis Terrae. La libertà di esplorare” di Fulvio Mariani.
Alberto Maria De Agostini e Walter Bonatti sono i figli di due generazioni diverse che hanno dedicato parte della loro vita alle regioni australi dell’America.
De Agostini, sacerdote salesiano, fotografo, scrittore e cineasta, operò fino alla metà degli anni ’50 nelle aree più remote della Patagonia, prima della diffusione della fotografia aerea e satellitare.
A 26 anni fu inviato nelle missioni dell’America australe, dove rimase per alcuni decenni, affiancando l’attività di evangelizzazione a lunghi e continui viaggi alla scoperta di valli, ghiacciai e cime della Cordigliera.
Il film ripercorre per intero, assieme a Walter Bonatti, la straordinaria vicenda dell’esploratore salesiano e la sua titanica opera di esplorazione, cucendo immagini ricavate dalle fotografie e dai filmati storici di padre De Agostini (che spaziano tra gli anni ’10 e il 1956) con riprese attuali. Girato interamente nella Terra del Fuoco e in Patagonia nel 1999, il film è un viaggio nelle terre del mito, e propone, in una curiosa prospettiva che affianca presente e passato, una fantastica sequenza di alcuni dei luoghi più spettacolari e selvaggi delle regioni americane dell’estremo Sud: lo stretto di Magellano, i canali fueghini, la Cordigliera australe, i gruppi montuosi del Balmaceda, del Paine del Fitz Roy, i ghiacciai Upsala e Viedma, e lo sterminato Hielo Patagonico Sur.
Due proiezioni concluderanno la rassegna, mercoledì 24 agosto. “Cannabis Rock” di Franco Fornaris narra la breve e intensissima epopea “beat” di un gruppo di giovani arrampicatori che dal 1973 al 1975, trasferendo sulle rocce il clima irrequieto e creativo del ’68, rivoluzionarono il tradizionalismo del mondo alpinistico piemontese e italiano.
Un viaggio iniziatico di una tribù di giovani ribelli che, ispirati dalle teorie di Gian Piero Motti, vissero la loro stagione alpinistica come tormento interiore, chi scoprendo lo yoga e chi la marijuana, chi rapito da estasi e chi da rabbia.
Una stagione vissuta al suono delle musiche di Bob Dylan e dei Popol Vuh, con una profonda incoscienza nei confronti della vita. Le scalate diventarono vere esplorazioni cariche di significati simbolici e visionari, lungo vie battezzate con nomi evocativi: Cannabis, Fessura della Disperazione, Strapiombi delle Visioni, Diedro Sanchez.
“I solitari del Gran Paradiso” di Aldo Salvo è invece una pellicola del 1957 che racconta le vicende di un eremita che ha scelto di vivere tra le montagne del Gran Paradiso.
Un approccio in apparenza assai lontano da quello del film precedente… ma forse con più punti in comune di quanto non si possa sospettare.