(Ferdinando Zorzi)
La moneta che fu mostrata a Gesù, un denario d’argento, raffigurava con ogni probabilità Tiberio Claudio Nerone, figlio adottivo di Ottaviano Augusto e secondo imperatore di Roma. La sua testa, di profilo secondo l’iconografia del tempo, poteva essere accompagnata dall’iscrizione CAESARIS DIVI F., vale a dire “figlio del Divo Cesare”. Sul rovescio, a ribadire il concetto, il capo dello stesso Giulio Cesare, cinto con la corona d’alloro, simbolo di regalità, e la scritta DIVUS, poiché il grande generale era stato divinizzato dopo la sua morte nel 44 a.C.
Curiosa e quasi paradossale situazione, in cui davanti all’inerme e vero Figlio di Dio viene messo un piccolo oggetto a cui si dà un’enorme importanza; vi è coniata l’effigie dell’uomo più potente della terra, che si crede figlio di un dio il quale, al netto delle sue abilità politiche e civili, si era fatto strada con la forza delle armi e la guerra.
Il contrasto è stridente, la distanza non potrebbe essere più grande: le parole con cui Gesù risponde alla domanda e risolve la questione non sono solo volte a smascherare l’ipocrisia dei farisei, o ad indicare una massima di comportamento buona per i credenti di ogni tempo. Marcano la totale separazione tra il Regno dei Cieli e i regni di questo mondo, basati sul potere economico e militare, e ricordano a tutti quanti che Cesare non è Dio.
Mt 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».