(Cristina Terribili)
Luglio è sempre stato il mese in cui si teneva il fiato sospeso fino ai voti della maturità, che sancivano il momento in cui si diventava un po’ più grandi e si poteva partire per le prime vacanze da soli, senza i genitori.
Chissà quanti giovani sono riusciti ad organizzarsi, magari con viaggi di prossimità, a ripetere questo rito, questo passaggio che è un ulteriore piccolo distacco da casa e dalla famiglia.
In quest’anno tutto strano, in cui sono saltate tutte le routine, in cui la casa è stata nido e prigione, in cui le distanze hanno fatto sentire il proprio peso, in cui l’esame di maturità ha subito profondi cambiamenti favorendo alcuni e danneggiando altri, che cosa possiamo aspettarci per tempi futuri?
Abbiamo visto studenti che sono stati premiati, perché è stata loro riconosciuta la capacità di adattarsi o perché agli insegnanti è mancata talmente tanto la scuola che anche il più fastidioso degli alunni (quello che silenziava il microfono o che, con la scusa di avere poca connessione, oscurava il video e si rimetteva a dormire…) è risultato un tenero virgulto da guardare con tenerezza. Abbiamo visto ritmi di lavoro, di sonno, di svago alterarsi, perché la dimensione tempo si è modificata, facendoci apparire ignari protagonisti dei quadri di Dalì.
A settembre ci si dovrà confrontare con gli esami a numero chiuso per l’accesso all’università, riprendere i libri in mano per spolverare e acquisire conoscenze per affrontare un nuovo percorso. C’è chi ha cominciato a guardare la lista dei concorsi per tentare di raggiungere quel posto fisso che fa sentire stabili e protetti. Chi si è già impegnato in attività lavorative, quelle possibili, e chi avrà cominciato a preparare curricola da mandare a destra e a manca.
Saranno altrettanto compassionevoli gli organizzatori degli esami con chi è sopravvissuto a quest’anno o saranno implacabili perché i posti sono sempre inferiori alle richieste?
Dopo il periodo di chiusura a cui tutti ci siamo attenuti per evitare la diffusione del virus, molte persone hanno faticato e faticano a riprendere il contatto con l’esterno: “sindrome della capanna” è stata definita la difficoltà ad uscire di casa, favorita anche dalla possibilità di lavorare presso il proprio domicilio, dal sentirsi meno stressati dalle corse quotidiane ma che può intaccare quella vitalità e quella spinta utile a dare il giusto passo a ciò che facciamo e agli obiettivi che ci poniamo per il futuro.
Relativamente agli adolescenti e ai NEET (acronimo che definisce quei ragazzi che non sono impegnati nelle attività di formazione o lavorative), si è spesso parlato di “sindrome di Hikikomori”, in cui tutte le attività si concentrano nella propria camera da letto, le interazioni con gli altri avvengono esclusivamente attraverso dispositivi elettronici e sono evitate le relazioni e le comunicazioni dirette con gli altri.
È il caso di tenere d’occhio queste situazioni: dobbiamo fare attenzione e dare il sostegno necessario a chi va in ansia al pensiero di ritrovarsi a competere o a semplicemente riprendere i ritmi abituali; dobbiamo fare in modo che i giovani siano incoraggiati a riprendere il proprio volo.
Se molti concentrano l’attenzione sulla ripresa economica, noi dobbiamo essere sensibili alla ripresa del nostro capitale umano, soprattutto quello composto dai nuovi grandi, dai ragazzi che si affacciano oggi ad un nuovo ciclo e spronarli a non mollare, a non prendersi anni sabbatici, di riflessione, che rischiano di ampliare sensazioni di decontestualizzazione.
I giovani di questi anni dovranno essere sorvegliati speciali e gli adulti, genitori o educatori, dovranno essere pronti ad intervenire tempestivamente per far superare eventuali sentimenti di inefficacia o di incompetenza.