La mostra che l’Uni3 ha dedicato al pittore, scrittore e politico torinese Carlo Levi si è chiusa domenica scorsa dopo quasi un mese di apertura.
Ora si trasferirà a Crescentino dal 3 all’11 giugno, in occasione della patronale della cittadina vercellese e in omaggio all’Istituto tecnico “Piero Calamandrei” che ha collaborato con l’associazione chivassese per l’allestimento e la realizzazione dei grandi manifesti esplicativi.
Le animatrici dell’evento sono state le professoresse Cristina Demeglio (compagna di classe e collegio di chi scrive… soprattutto ex docente del Liceo “Newton”) per la parte artistica e grafica, e Marilena Pedrotti per la parte letteraria.
Cristina Demeglio durante l’estate ha visitato i luoghi in cui Levi ha trascorso il confino politico al tempo del regime fascista, periodo che ci ha dato quello splendido romanzo che è “Cristo si è fermato a Eboli”, tra le massime espressioni letterarie del ‘900.
Indubbiamente le terre descritte dall’artista hanno un fascino molto particolare e, se non si vedono dal vivo, non si comprendono.
In uno dei quadri esposti è rappresentato un paesaggio con i tipici calanchi, detti “a pelle d’elefante”, per la loro conformazione fisica.
A Chivasso è stato proposto in riproduzione il famoso “Telero”, ovvero l’insieme delle tavole, di notevoli dimensioni, che Levi dipinse, su invito di Mario Soldati, per rappresentare la Lucania a Italia ’61.
Secondo Soldati, Levi era l’unico che potesse rappresentare quel mondo contadino in cui lui aveva vissuto.
Il protagonista della storia rappresentata è Rocco Scotellaro, sindaco di Tricarico che, dopo la laurea, era tornato al suo paese e aveva preso coscienza delle condizioni dei suoi compaesani.
Carlo Levi, che aveva conosciuto Rocco, lo rappresenta infante, in braccio alla mamma, ragazzino con gli amici, adulto in mezzo a una folla di compaesani, fra cui emergono anche ritratti di artisti famosi come Guttuso e lo stesso Levi, e infine morto e compianto dalla madre e dalle altre donne del paese.
Mentre Carlo Levi era al confino, per passare il tempo, che sembrava eterno, dipinse parecchie opere.
Si dedicò soprattutto ai ritratti, quelli dei bambini di Aliano; le donne non si facevano ritrarre perché pensavano che le loro anime avrebbero subìto una fattura.
L’unica donna che si prestò fu la sua domestica con uno dei suoi bambini in braccio.
Le opere dell’esilio presentano uno stile denso, pieno di energia, diverso da quello delle prime opere dipinte a Torino.
È stata una mostra davvero interessante: offre al visitatore un aspetto diverso di uno scrittore amato dai lettori, un pittore che ha talmente compenetrato i luoghi in cui ha vissuto da rendere i suoi dipinti espressione della sua anima.
Franca Sarasso
Redazione Web