In occasione della festa patronale del Beato Angelo Carletti è stata proposta una mostra pittorica molto originale e certamente graditissima ai chivassesi: quelli tra loro “diversamente giovani” hanno avuto l’occasione di rinfrescare la memoria e di tornare a quei tempi che, ahimè, non tornano più.

Dall’agevole penna – proprio una di quelle penne che usavano quando andavamo a scuola, con tanto di pennino – di Claudio Dalla Costa è nata una collezione di piastrelle in ceramica, di quelle per il rivestimento di bagno e cucina, che ritraggono scorci della amata città: scorci che ai più giovani non dicono nulla, ma che fanno brillare gli occhi a chi ha qualche, si fa per dire, filo argenteo in testa. Nato a Zara nel 1936, con la sua famiglia, a cui era stata bombardata l’abitazione, Claudio riesce a fuggire prima a Trieste e poi ad Asiago, dove risiedevano i nonni paterni.

Al termine della guerra il papà del nostro concittadino torna a lavorare per la ditta di cui era stato dipendente e arriva a Chivasso: l’azienda in questione stava costruendo la centrale idroelettrica di Galleani (ai piedi di Castagneto).

Claudio ha dieci anni, diventa amico di ragazzi che frequentano le scuole con lui.

Non dipinge ancora, ma da giovanotto si diletta a disegnare ritratti. Andato in pensione, grazie all’aiuto di una vicina di casa, inizia a dipingere sulla ceramica non con il pennello, ma con la penna. L’attività gli piace e gli dà soddisfazione e inizia a raffigurare Chivasso.

Si ispira soprattutto a Giulio Gatti, adottandone il colore preferito, la rola di noce, agli scorci di Vacchetta e Zanotto pubblicati ne “‘L Nostr Civass”, alla raccolta “Le cartoline raccontano” di Piercarlo Rosa, Laura e Marco Borrione.

Ma alcune piastrelle raffigurano scorci e persone che sono nella memoria di Claudio.

Per esempio il chiosco situato dove ora sorge il palazzo tra via Po e viale Matteotti, dove ha sede l’ufficio postale, per intenderci.

Questo chiosco era gestito da un’anziana signora chivassese che veniva spesso presa di mira dagli scavezzacollo di allora; siccome il chiosco aveva le ruote, alcuni di quei giovinastri, una sera, lo trasportarono oltre il ponte del Po.

Pensate un po’ alla donna, che al mattino non trovò più la sua attività commerciale…

C’è poi il Borgo Vercelli prima della costruzione della tettoia sotto cui si teneva il mercato dei polli.

Al suo posto c’era la Sacco, industria conserviera di quelle verdure prodotte negli orti della Corona rimaste invendute.

C’è il mulino Germanetti, il Duomo con il campanile ornato dall’antica guglia di “tola” alta 27 metri che, secondo quanto diceva la mia maestra, fece dare ai chivassesi il soprannome di “face ‘d tola”. Un tratto sicuro, pulito e di pregio è la caratteristica di queste opere, che l’autore intende donare alla Pro Loco L’Agricola che le esporrà sulla scala di accesso alla sede, a Palazzo Rubatto.

Unica pecca: la mostra ha avuto orari molto ridotti, avrebbe meritato aperture più prolungate.

f.s.